RACCONTO MORALE: LA TALPA
di Mariangela Barbiero

 

La mia gatta si chiama Joyce e si è presa il diabete... e dopo aver esaminato la cosa in lungo e in largo, penso che sia colpa di una talpa. Le ho sempre odiate, contro tutti gli animalisti (anche se anch'io sono un'animalista), chissà che non avessi una seconda vista (in mancanza di una prima, più utile...).

Per dieci anni non ho mai visto una talpa nel mio giardino e pensavo che essendo circondato da muri che calcolavo infissi profondamente nel terreno, l'animalaccio non ce la facesse. Poi un giorno vedo un po' di monticelli di terra fuori luogo e di lì cominciò la mia lunga ricerca del ' METODO'.
Lessi tutto quello che c'era da leggere ma in realtà praticai un solo metodo, quello della camera a gas, consigliato da un maestro del giardinaggio come Oelker, che però dichiarava che il migliore restava il metodo 'Forcone' piantato nel posto giusto al momento giusto...
Dovreste chiamare i più piccini, che sono i più fanatici dell'horror!
Andate, vi aspetto...

Dunque, avevo escluso a priori due metodi: il talpicida, perché temevo che avrei potuto far fuori qualche amico del giardino invece che la talpa, e la trappola, perché ero sicura che avere una talpa viva fra le mani non sarebbe stato il massimo dei piaceri (anche se oggi, ripensandoci, saprei dove andare a liberarla... ovviamente tra i suoi consimili umani). Così acquistai venticinque metri di tubo di plastica flessibile.

Non vi dico l'espressione del commesso del negozio di ferramenta del mio paese quando glieli chiesi. Era chiara la sua domanda rimasta inespressa. Che me ne dovevo fare? Ma forse era abituato alle mie stravaganze. Quando coprii una parete della mia casetta con rotoli e rotoli di filo di ferro zincato, sul quale poi feci arrampicare Lady Hillingdon (è una rosa, una signora rosa, anche se il rosa non è il suo colore) la domanda la pose. Io diedi la risposta, ma non parve credermi... o forse pensava che quando dicevo muro di casa fosse un understatement.
Secondo me ha pensato che fossi la principessa della Torre e Tasso in incognito, travestita da nana, e che stavo allestendo un'intelaiatura per le rose, destinata al suo castello di Duino... perché compravo il filo di ferro a mano a mano che mi serviva, quindi una decina o forse più di metri alla volta. Non sapevo io stessa quanto ne sarebbe occorso. Ne occorse una quantità immensa e l'andirivieni al negozio di ferramenta durò una decina di giorni. Io lo facevo fissare a tutti i punti fermi della parete della casa: fanali, inferriate delle finestre, rubinetto dell'acqua, ecc.

Bisogna tirarlo alla perfezione perché la rete che ne viene fuori deve essere drittissima, altrimenti l'ombra del filo sul muro illuminato dal sole moltiplica l'effetto 'onda' con un risultato sgradevolissimo. Ne uscì una trama bellissima che tutti gli architetti (il loro nome non è legione, ça va sans dire) passati per casa mia hanno ammirato. Sembra quasi una meridiana. Non fu una pensata da architetta, ma era l'unica soluzione per avere un supporto per le rose in una casa dove legno e ferro battuto sono più abbondanti della superficie intonacata del muro...

Tornando al tubo (25 metri), me lo portai a casa con il mio fidato amico falegname col quale ho restaurato tutta la casa e che ha un grande rimpianto, quello di non esserci conosciuti in gioventù: dice che assieme avremmo fatto milioni, perché lui è uno straordinario falegname, uno che ama il legno come io amo le piante, e io sono una brava ragazza di bottega: capisco a volo tutto quello che gli serve e nel mio garage quello che gli serve lo trovo sempre (non butto mai via niente, perché immagino che possa tornare utile ai nostri 'lavori').
Lui è alto quanto io sono piccola e ha scarpe n° 46, definite confidenzialmente 'canoe': prima di farlo entrare in un'aiola e che mi ammazzi tre piante in una sola pestata, gli faccio strada e gli indico dove posare i piedi. E' un gigante con una forza erculea (e ce ne vuole per tirare dritto un filo di ferro!).

Di solito è lui che pensa e io che eseguo. In questo caso ero io ad aver letto di come installare una camera a gas, e dunque ero io a spiegargli cosa si doveva fare: era molto impressionato. Comunque si mise all'opera, collegò il tubo in modo provetto allo scarico dell'automobile che doveva essere molto distante dal buco della talpa, perché il gas doveva raffreddarsi per strada (di qui i 25 metri...), sennò la talpa sarebbe morta gassata, ma le radici delle piante attorno bruciate dal calore.

Talpa
Ovviamente tappai tutti i buchi in modo da creare un ambiente sigillato, insomma una camera a gas. E feci scorrere il tubo deponendolo sui vialetti di ghiaia.
Talpa  stile DisneyPoi mettemmo in moto l'auto e tenemmo il motore al minimo per un'oretta. Quella volta funzionò e per un paio d'anni non vidi più talpe.
... Ma un brutto giorno rividi i mucchietti di terra e ci riprovai. Nel tentativo di chiudere un buco, il mio amico falegname con la vanga infilzò una talpa. Fu la prima talpa che vidi. E' un animale bruttissimo. Tutte le vignette che la fanno sembrare coccolissima sono false. I topi di campagna sono belli, i ghiri sono belli. I più belli sono i pipistrelli, sembrano degli orsacchiottini di pelouche. L'unica cosa che hanno di brutto sono le ali nere a membrana. Li conosco da vicino perché la mia prima gatta, Sophie, li prendeva al volo dal terrazzo e io li dovevo salvare: abitavamo al settimo piano di un condominio in centro città.

I ghiri invece circolano liberamente (si fa per dire) nel mio giardino. Il mio compito è salvarli dalle grinfie della gatta Joyce. Un giorno ne presi uno per il didietro, prima che Joyce lo arpionasse, e lo portai nel parco dei vicini, dove poteva trovare più nascondigli che nel mio piccolissimo giardino. Ma il ghiro, scambiandomi per una supergatta, mi morsicò il dito medio: dovetti fare l'antirabbica, con grande sorpresa di tutti quelli che interpellavo al telefono. La domanda era: "Sono stata morsa da un ghiro. Il ghiro è portatore di leptospirosi e di rabbia?"
Risposta: "Ma dove mai ha trovato un ghiro, signora?"

Alla fine trovai chi si intendeva di ghiri e la riposta fu: no e sì: i ghiri non sono portatori di leptospirosi, mentre, appresi, i graziosi topolini di campagna e le cavie lo sono. Ma i ghiri possono essere portatori di rabbia che sul Carso triestino è endemica (a periodi), perché le volpi che vengono da oltre confine, dalla Slovenia e dalla Croazia, a volte portano la rabbia. Sono creature bellissime le volpi, e vengono a mangiare vicino ai tavolini dei ristoranti all'aperto, d'estate.
Abbiamo anche cinghiali. Anzi stanno diventando infestanti. C'è una pizzeria vicino a casa mia, dove la sera vengono intere famiglie di cinghiali, genitori e pargoli, e la gente è come matta e gli butta da mangiare. Sono scene straordinarie, sembra di essere in un film di Walt Disney.
Un paio di settimane fa, tornando a casa, ero quasi arrivata, guidavo lentamente e anche quelli dietro di me, perché si sa che quella strada è spesso attraversata all'imbrunire dai cinghiali. Infatti anche quella sera, prima mamma cinghiala, che guarda accuratamente a destra e a sinistra prima di attraversare la strada, poi la prole, che la imitava. Ma uno rimase indietro. Il più piccolo. Tutte la colonna di auto si fermò, salvo un cretino che ci sorpassò tutti e centrò in pieno il cinghialetto. Eravamo tutti esterrefatti (almeno così mi sentii io e immagino gli altri). La creatura rimase rantolante sull'asfalto e io dopo qualche minuto di esitazione, ripresi la strada per casa. Sconvolta. Ma non sapevo cosa avrei potuto fare per un cinghialetto ferito. Non certo prendermelo e portarlo all'ENPA.
Insomma fu terribile e ancora adesso che ve lo racconto, sento il dolore della sua sofferenza.
Penso che le autorità dovrebbero fare qualcosa. Non so cosa, ma di certo loro lo sapranno.
La vita è ingiusta. Delle talpe non m'importa niente, mentre del cinghialetto agonizzante sì... forse perché non ha mai distrutto il mio giardino. Chi ha letto 'I giardini venuti dal vento' di Gabriella Buccioli, sa invece che distruttori terribili siano, altro che talpe!
... Ehm, a proposito del ghiro, un amico mi fece notare che la prossima volta sarei dovuta stare più attenta... perché neanche i ghiri amano essere presi per il sedere!

Ma tornando alle talpe: quella rimasta uccisa dal metodo 'forcone' ancorché tramutatosi in vanga, era piccolissima, nerissima, con orrendi unghioni e tutta bagnata (la terra che viene fuori dai loro buchi è sempre bagnatissima, si vede che amano i luoghi umidi). Brutta brutta.
Questa volta però la camera a gas non funzionò, forse perché ormai i buchi erano tanti e non si potevano più sigillare tutte le gallerie.
Allora provai col metodo Garibaldi (è il nome del più famoso gatto predatore di talpe del Nord Italia e vive a Inarzo, nella regione dei laghi).
I primi mucchietti di terra che avevo visto... li avevo attribuiti a una nuova cattiva abitudine della gatta Joyce di andare fare i suoi bisognini nelle mie aiole. Ma mio marito espresse il suo medico-pensiero: gli sembrava strana quella Iris japonicaesplosione di 'cacca' visto che il regime alimentare non era cambiato e Joyce non sembrava andare alla ciotola più spesso di prima. Fu quando vidi un'iris japonica dondolare... che capii chi ne fosse l'artefice. Così afferrai Joyce per la collottola e la portai ad annusare. Joyce è una grande cacciatrice da sempre, intrepida, e potrei raccontarne delle belle su di lei.
Comunque non ci furono risultati. Il metodo Garibaldi non funzionò (sennò ve lo spaccerei per il metodo Joyce...).

Quest'anno però le talpe sono diventate infestanti. Non più solo dentro le aiole, ma persino nei viali di ghiaia. Fanno degli enormi crateri che poi bisogna rimettere a posto. I miei vialetti sembrano invasi da mete (méta, con la e stretta, è il nome italiano delle cacche delle vacche, in padovano diconsi 'boasse')... quindi attenti alla pronuncia: andare alla mèta e una cosa, andare alla méta è un'altra...
Ma finalmente un giorno trovai due zampette artigliate deposte sullo zerbino di casa. Il metodo Garibaldi finalmente era entrato nella zucca di Joyce. Ero orgogliosissima. La mia vecchia gattona (ha ormai 14 anni) aveva preso la sua prima talpa! Ma fu e credo che rimarrà, anche l'ultima.

Nei giorni successivi la gatta cominciò a non stare bene. Non mangiava, non faceva le cacche (l'importanza delle cacche te lo spiegano sempre alla TV durante i pasti), aveva un'aria triste. Telefonai immediatamente alla veterinaria. Le fecero l'ecografia dell'addome e passai qualche giorno a darle olio di paraffina mescolato ad olio d'oliva e a massaggiarle il pancino. Neanche con i clisteri erano riusciti a farle espellere niente. Tutto era troppo in alto nell'intestino.
La veterinaria mi aveva spiegato che prima di operare, era meglio usare l'olio. Con quello erano riusciti a far venire fuori dal ventre di un cane il pelo di una lepre (sic).
In effetti funzionò. La gatta fece le sue cacche. L'annuncio me lo diede il mio amico falegname, tirando giù un sacranòn, come si dice da noi, nel profondo nord, perché aveva pestato sopra "l'atteso evento". Il garage era cosparso di feci e a casa eravamo tutti al settimo cielo!
Ma esultammo troppo presto. Qualche giorno più tardi trovai sul collo della gatta Joyce una ferita molto profonda e immaginai che dovevano essere stati gli unghioni della talpa. Una ferita che impiegò molto a rimarginarsi.
Poi venne l'annuncio fatale. Dagli esami del sangue scoprimmo un altissimo valore di glicemia. Tutto l'ambaradan aveva compromesso il pancreas, e una pancreatite acuta aveva annullato in Joyce la possibilità di fare l'insulina.
Ora ha il diabete. Forse i batteri sono entrati dalla ferita, forse la talpa era infetta, chi lo sa. Comunque il collegamento degli eventi sembra portare a questa conclusione.
E anche a un'altra: che Oscar Wilde aveva ragione quando diceva che due sono le tragedie dell'umanità: non ottenere quello che si vuole e ottenerlo: io volevo che Joyce diventasse un talpakiller... ho avuto ciò che ho chiesto...ma a che prezzo!