GIARDINARE.IT - CAPITOLO 9
Nomen omen
di Mariangela Barbiero

 

Ormai il giardino ha trent’anni, vi traslocai nell’aprile 1990 e proprio pochi giorni orsono mi lamentavo con un’amica giardiniera che il giardino era troppo perfettino e sentivo montare in me un senso di disagio. Avevo sempre sostenuto che la cosa più triste è avere un giardino ‘finito’, un’idea che avevo letto da qualche parte e avevo fatta mia, e quando pensai sul serio che le cose stessero così, ne provai dolore e spavento… ma presto mi tranquillizzai: in un battibaleno avevo già visto quante cosa avevo ancora da migliorare Guardavo il giardino dal fondo ed effettivamente la vista era molto gradevole, ma poi voltandomi di un quarto di giro vidi un bel po’ di roba che non funzionava e subito mi entusiasmai. Là dove era morta una bella e rara ipomea, rustica peraltro e proveniente dall’Orto botanico di Trieste, pensai che ci sarebbe stata a meraviglia un’Iris bracteata (sin. Siskiyou iris), che con le sue lunghe e strette foglie avrebbe creato un giusto accento verticale e movimentato con il suo portamento a fontana il piccolo parterre di una vinca praticamente sconosciuta da noi, la Vinca major var. oxyloba ‘Dartington Star’, rusticissima e vigorosissima (tanto da avermi soffocato l’ipomea), che fiorisce in prima primavera ma poi continua per mesi a fare qualche fiore qua e là. Io adoro le vinche perché, pur coprendo il terreno molto bene, mi consentono di muovermi con una certa facilità, sollevando qua e là i ciuffetti del fogliame strisciante così da non tramutarmi in una giardiniera pesticida (spero che apprezziate a dovere le mie letture joyciane).

In effetti, io adoro le tappezzanti, ma ne faccio un uso molto cauto proprio perché il terreno deve essere sufficientemente nudo per poterlo calpestare quando concimo organicamente in autunno. Tra le mie tappezzanti favorite, quelle cioè che non mi danno problemi, ho Euphorbia amygdaloides var. robbiae, Ophiopogon japonicus ‘Kioto’ e il capelvenere Adianthum venustum. Poi ci sono quelle che mi danno problemi, ma non le nomino, perché magari in un altro posto potrebbero essere giuste e non vorrei calunniarle. E poi ci sono quelle, come Saxifraga stolonifera, che sono perfette anche senza procurare emozioni, e che si possono eliminare con due dita quando si allargano dove non gli compete. In realtà in primavera, quando fioriscono, sono una meraviglia e per una paio di settimane si conquistano il palcoscenico.

Riparto dalle vinche. La mia preferita, ma anche quella che finora mi ha dato meno soddisfazioni, è la Vinca minor ‘Azurea Flore Pleno’. Ce l’ho da una quindicina d’anni, evidentemente nel posto sbagliato, perché non è riuscita a colonizzare neanche un metro e mezzo quadrato, tuttavia visto che lì il terreno è troppo asciutto e povero, lei ha cercato di farsi strada altrove, nell’ombra di una siepe di piracanta+ceratostigma+stenbergia a destra, e sotto un cipresso e una Choisya ternata ‘Sundance’ a sinistra. L’autunno scorso ho prelevato una nuova piantina da sotto la choisya , l’ho invasata e tenuta in serra per tutto l’inverno e a primavera l’ho messa a dimora, ha attecchito e l’anno prossimo saprò se è stato un successo, se cioè mi farà un tappetino di fiorellini azzurri . Vi aggiornerò.

Un’altra vinca, la V. minor ‘Alba’ mi ha dato così tanta soddisfazione tra virgolette che ho dovuto eliminarla da dov’era e metterla dietro un alberello e vedremo come andrà a finire. Era bellissima. E dunque? A parte il fogliame che nelle vinche minor è sempre più elegante date le minuscole dimensioni, a una prima ricca fioritura regalava poi un susseguirsi di deliziosi fiorellini bianchi qua e là. Il rovescio della medaglia è che la sua bulimia stava quasi per uccidermi un Cornus alba ‘Sibirica Variegata’, neanche tanto facile da trovare, almeno dalle mie parti. E’ vero che stava in un contenitore, ma uno grandissimo e profondo. La vinca s’era mangiata tutto il terreno a spese del cornus, una pianta che come tutti sanno è più che robusta, ma che quando l’ho svasato per capire cosa non andasse, gli ho trovato un apparatino radicale di una ventina di centimetri. Ora l’ho cambiato di posto e sta benissimo.

Al suo posto ho messo una nuovissima ortensia, Hydrangea ‘Runaway Bride’, che oltre a essere tra le più spettacolari con i fiori che si aprono anche sulla lunghezza del ramo e non solo in punta, ha un portamento graziosamente ricadente, copre tutto il terreno del vaso e non ho bisogno di ambigui aiutanti per nasconderlo, e in autunno le foglie hanno un colore diverso dal solito, particolarmente piacevole.

Un’altra bella vinca è la V. major ‘Variegata’, che mi cresce molto bene in una piccola bordura sovrastata dal tetto di casa (quindi niente pioggia), tra un rincospermo, un’edgevorzia e un alloro, un terreno dunque molto asciutto, nonostante che le indicazioni di coltivazione prescrivano un terreno fresco e abbastanza umido. La vinca sta benissimo, si è allungata per un due metri e più e allargata per 30 cm, con un aspetto decisamente lussureggiante… ma non ho ancora visto un fiore, a parte la prima stagione d’impianto, e sono curiosa di rivederlo perché non lo ricordo più e mi pare siano già passati tre anni. Però riesce a decorare una base del muro che prima era sempre brutta, perché non ci cresceva niente dato che, quando avevo creato questa bordura trenta anni fa, per tema di favorire l’umidità, mi ero premurata di creare uno zoccolo di cemento a ridosso della casa, naturalmente coprendolo di terra, terra su cui al massimo cresceva qualche annuale, ma che d’inverno restava desolatamente desolato. Bene, ora è bellissimo con questa fascia di foglie variegate, anche senza i fiori, figuriamoci quando verranno i fiori, perché verranno!

Passiamo ora alle mie tappezzanti favorite. L’euforbia ‘Robbiae’ mi ha coperto tutto il terreno sotto un nespolo giapponese (Eriobotrya japonica), ed è molto coreografica. Fiorisce in prima primavera e mantiene i fiori (verdi) fino a settembre. Cresce all’ombra, al sole, in mezzo alle piante, nella ghiaia, dovunque, e se non fosse così bella potrei considerarla un’infestante. A un certo punto, finito il terreno a disposizione è andata a infilarsi in una Skimmia japonica ‘Rubella’, che anche lei ha quasi una trentina d’anni.

Fu uno dei miei primi acquisti, all’epoca in cui pensavo che le acidofile fossero un ‘must’ del giardinaggio. Ma questo ve l’ho già raccontato, così come sapete che fino a che non scoprii la mia passione per le piante, i nostri viaggi non contemplavano praticamente mai giardini, fatti salvi i vari Boboli et similia. E perciò fui grandemente sorpresa ed emozionata quando il consorte mi portò a vedere i giardini dei laghi (Maggiore, Como, ecc.). E a Villa Taranto vidi una skimmia di due metri. Era la prima che vedevo ‘dal vero’ e subito pensai che a casa mia non poteva stare perché troppo grande e che dunque l’avrei dovuta togliere subito al mio ritorno. Invece la tenni, perché il buon senso mi disse che innanzi tutto avrei dovuto imparare a conoscere le piante un po’ alla volta e che c’era sempre tempo per eliminarle. Bene, dopo quasi trent’anni è alta poco più di mezzo metro, si è allargata, ovviamente, ma non tanto, ogni rametto fa immancabilmente ogni anno il suo pannicolo di bocci bordeaux, da cui in aprile si aprono i fiorellini bianchi che profumano di ciclamino, però se non ci fossero le euforbie, che si sono installate inframmezzo alla pianta, per tutta l’area interessata (un metro quadro e passa), certamente la skimmia non apparirebbe così bella. Infatti cresce su un terreno carsico e senza le euforbie che fanno da ‘pavimento’ avrebbe un’aria stenterella, invece sembra proprio un bell’arbusto rigoglioso. E’ una fortuna insperata e non cercata, e credo che anche altri giardinieri potrebbero cogliere l’opportunità che dà questa euforbia, là dove avessero piante non adeguatamente cicciose. Sapete anche che ho un immenso alloro, e ai suoi piedi ho provato di tutto. Trials and errors, dicono gli inglesi. Ecco, oggi per la prima volta m’è venuto in mente come avrei dovuto chiamare il mio giardino, “Trials & Errors”. Mio marito aveva proposto “Pozzo di San Patrizio”. Io, piccola megalomane, se l’ossimoro mi è concesso, l’ho chiamato Parva Pulcherrima, per gli amici PaPu. I miei tentativi dunque erano tutti baciati dall’insuccesso, finché Pier Luigi Priola non mi consigliò l’Ophiopogon ‘Kioto’. E oggi l’alloro s’innalza su un bel tappetino erboso. E’ vero che ho messo circa un centinaio di piantine, non certo tutte in una volta. Ogni anno ne ho aggiunte delle altre perché la terra è molto asciutta (vedi tetto + Laurus nobilis) e le piante crescono pochissimo… ma neanche muoiono. Il difficile è trovare la cultivar Kioto, perché negli ultimi anni sono state create tante diverse cultivar di ophiopogon nani, e certo non posso mica fare un tappetino macedonia… si sa, ci vuole pazienza! Non ho ancora ben capito la differenza fra tappezzante e coprisuolo. Potremmo forse dire che le tappezzanti sono più basse e i coprisuolo più alti? Mah! Se penso all’Iris japonica che in un batter d’occhio ti colonizza l’aiola, lei la definirei un coprisuolo, tuttavia basta intendersi.Ho tenuto per ultima la tappezzante più strabella che possiate immaginare, Adianthum venustum, un capelvenere sempreverde e rustico, parola di giardiniera, almeno a Opicina, sul Carso, a 350 m slm dove nei normali inverni nevica e le minime si aggirano sui -10°C, raramente però al di sotto. Ce l’ho da una decina d’anni e le sei piantine con cui ho sperimentato hanno ora coperto circa 5 mq di terreno calcareo, ah ah ah! Alla faccia di chi dice che non ama il calcareo, che è deciduo e poco rustico. Il suo nome comune è in inglese Himalayan Maidenhair e non mi risulta che l’Himalaya sia consigliato per il campeggio estivo. E’ molto molto simile all’Adianthum capillus-veneris, che è invece difficile. Dentro casa c’è troppo poca umidità e persino il bagno, causa calorifero tra le due finestre, non gli confà, perciò lo tengo in un vasetto appeso a nord-est, lo perdo in inverno e lo ricompro in primavera, ergo amo il capelvenere, ho sempre desiderato averne uno sotto gli occhi e ho fatto tombola quando ho scoperto l’Adianthum venustum.Se invece parliamo di piante infestanti nel senso buono, cioè che se non le marchi strette, tirano in porta, ne ho una bella lista: Impatiens balfourii, Allium ursinum, Nigella damascena, Consolida ajacis, Campanula poscharskyana ‘Stella’, Montia sibirica a fiore bianco, Anemone japonica di tutti i colori, e tutte le viole rustiche (V. odorata, labradorica, sororia), un paio di felci (Onoclea sensibilis, decidua e Phyllitis scolopendrium sempreverde) e la Begonia grandis subs. evansiana var. alba.Questa begonia, che dalle mie parti è del tutto rustica, è molto molto bella, però le sue prime foglioline appaiono solo a metà aprile, per cui il terreno risulterebbe nudo d’inverno, se io non avessi piantato anche lì il mio amato e sempreverde capelvenere: convivono perfettamente. L’importante per questa begonia è piantarla in ombra luminosa che guardi a ovest: in ombra perché il sole a picco non bruci le tenere foglie, a ovest perché quello basso del tramonto ne accenda il retro venato di rosso. Per raggiungere questo risultato, le begonie devono essere piantate sul bordo di un’aiola così da farci gustare da vicino la fioritura e poi ci sposteremo dal lato opposto. Il terreno frammezzo sarà occupato da una tappezzante non troppo alta, nel mio caso il capelvenere, e ci godremo uno spettacolo veramente raro. Altro bonus: fiorisce in settembre, ma è una vera infestante e bisogna tenerla a bada.E infine l’ultima arrivata, infestante nel senso buono, è il papavero bianco Eomecon chionantha. Ha foglie di forma bella e inconsueta, il fiore sembra un piccolo anemone giapponese, una piccola Honorine Jobert, e sob sob a occhio e croce mi pare difficilmente controllabile. E’ a casa mia da un anno e ho visto che in primavera, quando le piogge scarseggiavano, le foglie si raggrinzivano e seccavano ai bordi. Per adesso alcune delle numerosissime piantine spuntate in primavera le ho spostate sotto un mandorlo nano di cui vi parlerò un’altra volta di sicuro, per vedere come sta in ombra scura. Al sole certo patisce, ma i rizomi sottoterra continuano a lavorare imperterriti. Per poter gustare la vista dei suoi piccoli fiori, devono stare anch’essi sul davanti di una bordura ma all’ombra: dove trovare ancora posto nel mio Trials & Errors alias Pozzo di San Patrizio alias Parva Pulcherrima?