GIARDINARE.IT - CAPITOLO 14
In giardino è come in cucina, i segreti sono più importanti delle ricette
di Mariangela Barbiero

 

È stata un’estate troppo calda, a lungo senza piogge. Sono riuscita a mantenere bene il giardino, e già immagino la bolletta dell’acqua, che pagherò a rate, almeno questo la società partecipata comunale me lo concede (ma che fine ha fatto il referendum che aveva decretato che l’acqua fosse pubblica?).

Quando sono arrivata a Opicina il giardino era sempre sott’acqua, in quanto si trova in discesa rispetto alle abitazioni dei miei vicini e inoltre la strada di confine non era asfaltata. La seconda cosa che ho fatto, dopo aver progettato gli spazi, fu di creare un pozzo a perdere nel punto più basso. E un altro lo feci scavare alla ditta che asfaltò la strada. Si tratta di buche di almeno un metro e più di profondità per uno di larghezza e vanno riempite di pietre di misura decrescente, come si fa più in piccolo per il drenaggio dei vasi. La terza, mi era parsa un’ideona, era stata quella di mettere nei punti più critici a valle tante tante tante piante amanti dell’acqua, ortensie, certo, e non solo. Compulsavo libri, riviste, enciclopedie, con la fame dovuta a un’astinenza decennale e l’entusiasmo di una neòfita, da non confondere con neofìta. Mi conoscete abbastanza da sapere che le parole mi appassionano quanto le piante e così, benché non abbia studiato greco, ho scovato che neòfita significa nuovo adepto (phytòs), mentre neofìta significa nuova pianta (ϕῡτόν), e quindi leggeremo epifìte, geofìte e, ovvio, neofìte. Trieste ha dato alla botanica numerose eccellenze e io ho avuto il privilegio di conoscere il professor emerito Livio Poldini del Dipartimento di Scienze della vita grazie al quale ho scoperto le corrette pronunce latine: i suoi collaboratori pronunciano sempre e solo Vìola odorata, cornuta, ecc. ecc., ma sono certa che nessuno di noi oserà farlo, io per prima.

Dunque spulciando e compulsando ho trovato che sono più le piante che amano l’acqua, alla mia latitudine, di quelle che la detestano. Oltre alle piante d’appartamento (sappiamo bene che in casa le piante muoiono spesso affogate, ma raramente di sete), ci sono due generi ai quali l’acqua va data in quantità omeopatica: le mahonie e le dafne: mio consiglio, piantarle ai piedi di un albero.

Risultato finale? Devo bagnare più di tre ore al giorno, quando non piove nella bella stagione, solo che non so più dove ho scavato il pozzo a perdere… che contribuisce a drenare l’acqua ormai in deficit permanente. Come diceva Oscar Wilde, bisogna fare molta attenzione ai desideri.

In questi giorni il prof. Stefano Mancuso ci ha invitati a piantare un miliardo di alberi per ovviare alla crescita della CO2 . Io lo conosco e ammiro da molti anni e ho avuto anche la fortuna di assistere a un paio di sue conferenze. Lui invece, sapendo quello che ho fatto, mi confinerebbe nel girone dei traditori, perché ho eliminato due betulle. Una decisione spiacevole, ma oltre a essere diventate due bestioni con tronchi di oltre un metro di circonferenza che nulla avevano a che fare con le graziose ballerine che avevo acquistato, oramai, a causa delle aumentate temperature estive, cominciavano perdere foglie già in luglio, creandomi più lavoro di manutenzione e imbruttendo il giardino, in una stagione che già è quella che amo meno. E ho scoperto che la pensa come me anche un giardiniere inglese, John Naish, a proposito del quale troverete questo articolo del 2001, tratto da The Garden, nel sito di Tra Fiori e Piante

Quest’anno l’autunno mi ha riservato bellissime sorprese. I settembrini, che avevo sempre (colpevolmente) snobbato, sono esplosi; il più bello, per me, è l’Aster laterifolius, sia per i fiori (ma esiste un settembrino con fiori non belli?), sia per il portamento vaporoso: se dovessi averne uno solo, opterei per questo. Uno dei vizi più diffusi nei settembrini è proprio l’abitudine ad accasciarsi, quando sono alti. Di piccoli ne ho visti, ma non ne ho mai coltivati, e sono molto curiosa in proposito, anche se non so proprio dove poterli sistemare. Un’altra straordinaria sorpresa è stato il fiore della Passiflora cerulea, piantata un anno fa. Io compro sempre le piante in fiore, per non avere amare sorprese, e il fiore mi sembrava normale. Ho sempre avuto passiflore sia in terrazza che in giardino, ma non continuativamente. In terrazza era bellissima, la tagliavo corta ogni primavera perché fiorisce sui rami nuovi e tenevo i rami allungati e separati, in modo da mettere in risalto le foglie così ben disegnate. In giardino lo misi ai piedi di un glicine già esistente, ma non faceva lo stesso effetto, perché non potevo controllarlo da vicino. Le siepi di passiflora sono molto diffuse in Carso e sono orrende: le foglie sormontandosi perdono il delizioso disegno e sembrano siepi di matavilz, ottima insalatina molto diffusa in Carso (valerianella o songino o soncino). Poi scoprii la Passiflora caerulea ‘Constance Elliot’, fantastica, ma la persi tre volte e quando chiesi spiegazioni a un collega giardiniere mi disse che le cultivar bianche sono quasi sempre meno rustiche della specie. Ma, come diceva il consorte, sono una tedesca travestita da sarda, col chiodo in testa. Dopo tre decessi ne ho trovate altre due bianche, la nota ‘Constance Elliot’ e la ‘Queen of Snow’. La prima ha fatto un solo fiore l’anno scorso, e la seconda molti fiori quest’anno. Sono ambedue bianche, ma la Constance Elliot mi era sembrata assolutamente incantevole, mentre la Queen of Snow mi sembra di un bianco banale, non voglio fare la snob e non ho potuto verificarlo perché quest’anno la Constance Elliot ha fatto un montón di foglie e neanche un fiore. L’anno venturo ne sapremo di più. Avevo cominciato il discorso sulla sorpresa riservatami dalla P. caerulea specie. Ha fatto un solo fiore, di un azzurro violetto scuro… luminosissimo, mai visto prima. È stata della lunga estate il merito? Lo rivedrò?

Allo stato attuale dell’arte sono in alto mare. Dei due tronchi delle betulle, uno è nascosto da un enorme arbusto di Lonicera nitida ‘Baggesen's Gold’ e l’altro è in attesa di essere squartato da un martello pneumatico: altre macchine non sono adatte per via della ristrettezza del posto. I tronchi, se lasciati in loco, sono pericolosi perché favoriscono l’insorgere del fungo Armillaria mellea (la famigliola buona, o chiodini, ottimi in risotto ma letali per le piante assalite). Il tronco nascosto lo eliminerò con il nitrato di potassio e siccome è nascosto il tempo, anche se lungo, non è un problema. E visto che siamo in tema di Armillaria vi do una dritta. Trenta anni fa scoprii che il mio ciliegio ne era stato aggredito: quando vidi i famigerati chiodini mi venne un colpo. Ma ho avuto un ottimo maestro anche in questo campo (malattie fungine). Mi informò che questo fungo aggredisce di solito nei periodi di siccità, perciò avrei dovuto per il resto della mia vita o della sua (del ciliegio) bagnarlo molto in estate. Lo ascoltai e mai più un chiodino fece la sua comparsa. E il mio vecchio ciliegio fa sempre ottime ciliegie, è grande e gagliardo. In giardino è come in cucina: i segreti sono più importanti delle ricette.