GIARDINARE.IT - CAPITOLO 13
Anche il confinamento ha i suoi pregi
di Mariangela Barbiero

 

I giardini sembrano sempre troppo piccoli, quando vorresti aggiungerci nuove piante, e sempre troppo grandi, quando ci devi lavorare. Come sapetre, il mio giardino in questi ultimi tre o quattro anni è raddoppiato, da quando cioè ho eliminato il garage per far posto a una serra e usato la corte, che porta dal cancello grande all’ex-garage, come nuovo giardino. Rileggendo una mail che avevo scritto al forum di Giardinare.it quando ne ero la moderatrice, circa una ventina d’anni fa, tutto mi è tornato a mente e mi sono commossa. Scrivevo più o meno che quella settimana avevo fatto le potature di primavera - mi rimaneva poca roba ancora - e i «rimasugli» di potatura avrebbero potuto riempire un camion. Mi ero lamentata col consorte, perché se avessi avuto un giardino più grande non avrei avuto bisogno di potare così tanto: lui mi aveva guardato con gli occhi a piattino! Beh, aveva ragione: con un giardino più grande, come ho adesso, ho solo ancora più roba da potare, e confesso che mi diventa sempre più faticoso, persino quando sono aiutata, forse perché penso già alla prossima tornata (fra poco ci saranno gli evonimi, la siepe di bosso, l’alloro, l’eleagno, eccetera). Detesto potare, eppure è il lavoro più frequente a cui mi dedico. Vent’anni fa sognavo di vincere una qualche lotteria (di cui non compro mai il biglietto, ora come allora) per acquistare un giardino più grande. Però avrei dovuto lasciare Parva Pulcherrima e la sola idea mi fa e faceva inorridire. Ne sono innamorata. Ma cos’è che voglio allora? Tutto, come dice la mia cara amica Ornella, ça va sans dire!

Quando, come in quei giorni, passavo ore e ore a guardare i bucaneve, i crochi che stavano per aprirsi, le puntine delle primule, l’esplosione del gelsomino nudiflorum, o la nuvoletta verde del Berberis thunbergii ‘Aurea’, con le sue minuscole gemmine che lo rendono delizioso già a fine inverno - e poi superbello, perché il color lime sembra il colore stesso della rigenerazione, della primavera, di tutto ciò che è fresco e nuovo - e osservavo le gemmone delle ortensie, che sono sempre vive e vegete e non sai mai cosa fare quando gela: se le bagni possono gelarsi, se non le bagni possono seccarsi. E in effetti per non averla bagnata una Hydrangea tricolor mi si è seccata…

Se anche avessi il giardino di Miramare, sempre quelle ore avrei a disposizione per bearmi gli occhi. E probabilmente non mi divertirei neanche un poco di più di quanto non mi diverta adesso. Mi ricordo perfettamente quanto sospiravo e poco mi divertivo nella lunghissima attesa dell’estate, quando avevo solo una terrazza grande sopra il tetto e dovevo aspettare la bella stagione, in genere la fine di maggio, per bearmi gli occhi. Perciò devo ammettere che è molto più bello avere un giardino, per quanto minuscolo, a cui accedere in ogni momento, piuttosto che una grande terrazza da utilizzare solo nella bella stagione. Non ci sono dubbi. Ma quando finalmente il momento arrivava, passavo ore e ore ad andare su e giù per la terrazza, osservando a lungo una pianta, scrutando nella terra del vaso segni di nuove pianticelle portate dal vento, studiando nuove disposizioni dei vasi (fu allora che mi beccai il mal di schiena, spostando vasi di cotto di 70 cm di diametro su e giù per la terrazza, come oggi sposto le piante) e immaginando nuove possibilità. Cose che faccio tuttora e che hanno messo in grave imbarazzo i miei vicini. Uno non ha resistito e un giorno mi ha domandato che cosa guardassi così fissamente. Era difficile dargli una risposta sensata che lui potesse capire al volo: se avesse avuto lo spirito del giardiniere, quella domanda non me l’avrebbe posta, ma siccome era evidente che non l’aveva, mi domandai che risposta gentile avrei potuto dargli che lo convincesse che la nuova vicina non era «tocca». Non ricordo cosa gli risposi, ricordo che non fui soddisfatta della risposta, era una risposta qualunque, e a me non piace mai dare «risposte qualunque». Beh, pazienza, non sempre si può fare quel che più piace, come per esempio conversare con un altro giardiniere, come stavo facendo allora, nel forum. E un poco quello che faccio adesso scrivendo su Rosanova. A volte penso che mi piacerebbe avere un prato, non all’inglese, ma un prato verde pieno di fiorellini piccolissimi, come li avevo visti in Sardegna. In francese ci sono tre parole per definire un prato, e nonostante sia una traduttrice non ne conosco bene la differenza. C’è la pelouse, che in ogni città dell’Esagono è proibito calpestare, c’è il gazon, che di sicuro non è un prato di montagna, è c’è il pré, che è la parola più vicino a prato, forse una prateria di piccole dimensioni e che mi fa venire in mente che ai tempi della prima rivoluzione industriale, che aveva spostato molti contadini dalla campagna alle fabbriche, in alcuni paesi le istituzioni avevano deciso di creare in zona periferica un’area verde dove i novelli operai e le famiglie potessero rigenerarsi i polmoni. Ne sono rimaste alcune testimonianze, come il Prato della Valle nella mia Padova, il Prado a Madrid, il Prater a Vienna, e certamente anche altrove, forse a St Germain de Prés, forse, ma i miei ricordi storici finiscono qui. Dunque mi piacerebbe avere un piccolo prato verde, ma anche una grande quercia, un ruscello, e un giardino a pastini. Ma mi accontento. Non ho nessun tipo di prato, le aiole e le bordure emergono dalla ghiaia, che non solo le fa risaltare in sommo grado, ma è anche l’elemento in cui i semi più facilmente germogliano. Una volta osservavo come le piantine crescessero nella terra all’interno delle aiole, poi ho scoperto che era ancor più divertente cercare quel che nasceva nella ghiaia, portato dal vento. Ieri ho scoperto due nuove piantine di Passiflora caerulea. Fate attenzione, però, perché la passiflora nata da seme impiega dai cinque ai sette anni prima di fiorire. Ne feci esperienza in terrazza: dopo cinque anni che la tenevo con cura, mi decisi ad eliminarla… neanche un mese dopo lessi su Gardenia, mi pare, che bastava qualche mese ancora di pazienza. Sono molte le piante che si comportano così. Per esempio il calicanto Chimonanthus praecox (12 anni), il glicine, alcune magnolie giapponesi che fioriscono dopo 17 anni (me lo aveva raccontato Luciano Viatori, uno dei più grandi giardinieri friulani), ragion per cui consiglio sempre di acquistare piante in fiore, così sarete anche sicuri del colore. Parlando di calicanto, vi voglio raccontare di un vero Calicanthus, il C. ‘Venus’ (non è che i botanici nomenclatori mi siano tanto simpatici). E’ un arbustone molto fiorifero, e a differenza del C. floridus, i suoi fiori molto profumati hanno solamente un delicato aroma di vino (forse il Sauternes?). Una volta lessi che una delle mie rose preferite, Mme Alfred Carrière, il cui profumo aveva una descrizione immaginifica che finiva con un lieve sentore di Sauternes. Ricordo una conferenza che tenni sul profumo diversi anni fa, in cui parlavo anche di lei. Raccontavo che avevo letto che la fragranza di questa mia amatissima rosa può cambiare nel corso della giornata da un delizioso profumo di rosa antica e di lychee, e poi di limone e di pompelmo, per finire col ribes nero e un indizio di Sauternes…

Oggi sono proprio avvolta nei ricordi. Lavoravo in una fabbrica di motori diesel e uno dei miei primi lavori importanti ne riguardava l’odore. Erano ‘papers’ dell’Epa (Environmental Protection Agency), quelle che gli accademici italiani chiamano ‘pubblicazioni’. Erano i tempi del presidente Jimmy Carter, uno dei migliori presidenti degli Stati Uniti e l’ambiente per lui era una cosa seria. Appresi che panel era un gruppo di esperti, che le donne hanno un magnifico senso dell’olfatto ma che non sono sempre affidabili in taluni giorni per questioni ormonali. Isomma ebbi un imprinting formidabile che mi ha fatto coinvolgere in seguito nel profumo dei fiori. Non metto imprinting in corsivo perché Konrad Lorenz ha consegnato per sempre questa parola alla scienza antropologica, mentre trovo insopportabile l’uso di panel o paper che hanno sempre avuto corrispettivi in italiano, per non parlare dell’orribile think tank, al cui posto potremmo usare il nostro simpaticissimo ‘pensatoio’.
Sto leggendo in questi giorni un libro di Michel Baridon, comprato anni fa a Parigi e che per qualche stupida distrazione non avevo mai letto. Si tratta di “Les Jardins”, che non mi risulta mai tradotto, che consiglio caldamente di leggere a chi conosce il francese. Tratta della storia dei giardini da Adamo ed Eva (1200 pagine, sì, non è un bignami) e ha un capitolo sull’estetica cinese che mi è parso necessario tradurre per i non francofoni. Lo troverete sul sito dell’Ass. orticola del FVG “Tra Fiori e Piante”. Anche il confinamento ha i suoi pregi!