GIARDINI DI TRAUTTMANSDORFF

di
Mariangela Barbiero
(Merano, settembre 2001)

Sono a Merano e sono appena tornata dalla seconda visita che ho fatto ai Giardini di Castel Trauttmansdorff, l'orto botanico inaugurato nel giugno di quest'anno. Naturalmente non bastano due visite per goderselo tutto, sia perché ha una notevole estensione, 12 ettari, sia perché molte piante sono interessanti in stagioni diverse, per cui, anche volendo, non si possono godere rose e peonie nella stessa settimana. Non so da che parte cominciare il mio 'reportage', e come voi tutti sapete, a uno che non sa da che parte cominciare, tutti gli consigliano di cominciare dal principio.

Dunque in principio presi l'autobus, e mi stancai fuori di misura, sia perché gli orari sono di fantasia - una mezz'ora di ritardo non saprei come altro definirla - sia perché è strapieno di scolaresche. La seconda volta ci andai in macchina, soluzione comodissima e poco costosa (il parcheggio è adiacente alla cassa e chiedono 3mila lire per l'intera giornata).
Se la giornata è bella, conviene vestirsi leggeri perché il giardino si trova in una conca esposta a sud. Tutta la vallata di Merano, la Val Passirio, è in una situazione climatica privilegiata, tanto che lungo la famosa passeggiata Tappeiner vi crescono, fruttificano e si riseminano i fichi d'India (ma questo è un altro reportage, forse).

Il progetto complessivo dell'orto botanico è un pezzo di bravura, perché sono riusciti a renderlo attraente e godibile per tutti, anche per i meno interessati all'aspetto botanico. E' una gioia per gli occhi e un divertimento per grandi e meno grandi. Pur essendo esposto a meridione e protetto da una catena di monti, dunque assolatissimo, è pieno di angoli ombrosi, pergolati e manufatti di bel design. Una soluzione che ho trovato particolarmente efficace vede blocchi di marmo lunghi diversi metri, dove sedersi e sostare, sormontato da un possente arco rettangolare, che dà riparo e ombra, costituito da una gabbia di reticolato di ferro contenente tronchi di roverella: materiali comuni per una forma alquanto artefatta e 'geometrica' che offre un bell'effetto di contrasto - ma anche di compartecipazione - con la natura selvatica degli alberi circostanti, che ripropongono una vegetazione ripariale.
Un altro posto di ristoro, davanti a un delizioso laghetto, ha il tetto che simula scafi di barche stilizzate capovolte, un bel colpo d'occhio visto da lontano, e molto interessante anche visto da sotto.

I progettisti di questo giardino hanno tenuto conto di molte lezioni, non ultima quella dell'inglese Russel Page (1906/1985), uno dei maggiori progettisti di giardini del XX secolo, che diceva tra l'altro: "Anche la scultura moderna è un elemento nuovo e riesce difficile sopravvalutare la sua importanza nell'attuale ideazione del giardino e nella progettazione del paesaggio. Per fortuna le brutte riproduzioni di settecenteschi cupidi, quattro stagioni, Cerere e Pomona e di urne e vasi in pietra colmi di frutti e fiori sono oggi poco reperibili e la scultura astratta moderna conferisce una nuova qualità e tensione agli spazi del giardino. Infatti ha una funzione analoga all'attenta collocazione delle pietre nei migliori giardini classici del Giappone".

I Giardini di Castel Trauttmansdorff mi sono parsi una notevole e armoniosa commistione di paesaggi naturali e antropizzati. Pergolati terrazzati di vigne e declivi di uliveti, nel più puro stile mediterraneo, si avvicendano a visioni postmoderne. Troviamo i giardini (all'italiana, all'inglese o quello giapponese) e la serra delle orchidee, il laghetto e lo stagno, il palmeto, l'orto e il frutteto, la macchia e la gariga mediterranea, boschi di conifere e di latifoglie, ovviamente non in quest'ordine.


Il giardino formale è di elegante disegno e ha tutte le dovute citazioni. Dalle aiole con le bordurine di bosso che racchiudono le dolcissime palle argentee delle santoline, a un divertente ma intrigante labirinto di tasso, da cui sembra ingannevolmente facile uscire; dal pergolato di passiflore, famose o sconosciute, una addirittura rosso fuoco (ma mi resta il dubbio che siano veramente rustiche), al muro ricoperto di rose 'Mermaid'; all'acqua che zampilla nella cascatella a gradoni, o che scorre quieta in canalette ornate di calle, il tutto riflesso in un piccolo lago. Non manca nulla all' appello, e questo attrae quanto l'inatteso, che è molto e sorprendente.
Così è fatto l'uomo, sempre alla conferma del noto e alla ricerca dell'ignoto.

 

 

 

Ma è quello didattico, certamente, l'aspetto più importante negli orti botanici, che ai giorni nostri non hanno più la valenza scientifica che portò alla loro creazione quasi cinquecento anni fa, come supporti alle facoltà di medicina. Ma già nel XVIII secolo così scriveva G.A.G. Cerutti (1738/1792), retore gesuita: "Si tratterebbe di raggruppare e di distribuire, in piccoli cantoni differenti, le diverse piante straniere, al fine di rappresentare, in uno spazio stretto, la regione che le produce. In mezzo a questi gruppi, di queste società vegetali, si collocherà su di un poggio elevato la figura di un abitante loro compatriota, con un costume o selvaggio o civilizzato, in modo che, facendo il giro del giardino, si farà il giro del mondo".

I Giardini di Trauttmansdorff sembrano aver fatto tesoro anche dei consigli di padre Cerutti (abitanti in costume a parte), e si articolano in una decina di settori. Si può spaziare dai paesaggi mediterranei a quelli dell'Alto Adige; dai boschi del Sud America meridionale, del Nord America orientale e occidentale a quelli del Giappone; dalla risicoltura e teicoltura orientale alle piante coltivate di origine americana. Nei Giardini di Trauttmansdorff ci sono molte occasioni per imparare divertendosi (le scolaresche di queste parti sono molto fortunate). Uno dei punti più frequentati è il Mosaico Geologico , un coloratissimo mosaico che disegna e ripercorre l'evoluzione geologica appunto del Tirolo, riportando le principali città, le zone minerarie e le vette montuose che aiutano a orientarsi lungo il percorso. Strisce di piccoli tasselli blu imitano i fiumi, e grossi massi di pietra, collocati in modo da offrire anche un piacere visivo, indicano i vari tipi di roccia che costituiscono le montagne della regione; e c'è anche un marchingegno dove enormi pietre dondolano in attesa (mai vana) che qualcuno con un bel martellone, una mazza, le faccia risuonare (si fa per dire). Io non ci ho provato, sia perché la fila era lunga, sia perché la mazza era pesante.


 

Di gran richiamo è il 'semideserto' delle succulente , con un'enorme sfera di metallo alta cinque metri, della forma di uno dei più noti cactus, quello chiamato 'il cuscino della suocera', abbacinante sotto il sole, il cui interno è una simulazione di un cactus visto da dentro, della pancia di un cactus, direbbe un bambino, con l'acqua che scende in gorgoglianti cascatelle che risuonano sui gradini di metallo.

Altre attrazioni sono le rappresentazioni della primavera e dell'autunno. La prima appare come un magico concerto che annuncia il risveglio della natura: sottili steli in fibra di carbonio ondeggiano morbidi, come fossero bucaneve, narcisi o tulipani, mentre il grosso bulbo li tiene saldamente ancorati al suolo. L'autunno, la stagione del deperimento e della caducità, è raffigurato da una cupola d'acciaio percorsa da venature di ruggine che ricorda un enorme cumulo di foglie morte. Attraverso la sua trama s' insinuano i raggi del sole. Foglie di plexiglas variopinte filtrano la luce, lasciando lo sguardo tuffarsi nei colori dell'autunno.

Meno divertente ho trovato la 'Grotta', che per tutti sarà sicuramente un luogo dove su grandi schermi si possono apprendere un monte di cose su come nacquero i microrganismi negli oceani primitivi e come le piante - prime fra tutte felci, equiseti e licopodi - conquistarono la terra ferma. La guida lo definiva 'un viaggio a ritroso nel tempo, accompagnati da vulcani in eruzione e violente tempeste'. Vi riferisco le parole della guida, perché non ho assistito alle proiezioni. Per me la Grotta è stata una spiacevole esperienza, non tutto è ancora ben coordinato, evidentemente. Fatto si è che vedendo un gruppo uscire, io entrai a mia volta e prima che la porta mi si chiudesse velocemente e inesorabilmente alle spalle, ebbi giusto il tempo di intravedere molte file di panchine. Mio marito si era fermato un po' prima e non ebbe modo di assistere alla scena. Mi trovai nel buio e nel silenzio più totale. Dopo qualche tempo di attesa, cominciai a innervosirmi, per un po' pensai che facesse parte di qualche divertimento che non capivo e che non condividevo. Poi cominciai a battere sulla porta, o almeno pensavo che fosse la porta, visto che non vedevo niente. Non osavo gridare anche per tema di sembrare ridicola. E temevo anche di muovermi, perché non vedendo niente e sapendo che esistevano delle panche, avevo paura di cadere.

Battendo con le palme aperte e con i pugni, informai a voce alta che non trovavo la cosa per niente divertente. Ma non osavo gridare, perché mi vedevo come in un film di Alberto Sordi, il quale - in preda al panico - strilla e urla davanti alla porta chiusa di un ascensore, mentre la gente lo fissa attonita sulla porta aperta dall'altro lato. Pensavo che a un certo momento la porta avrebbe potuto spalancarsi e che tutti si sarebbero messi a sganasciarsi a mie spese. Poi, in un barlume d'intelligenza decisi d' ispezionare l'ambiente, mi girai e alzando lo sguardo vidi sul lato opposto, in alto, l'indicazione luminosa di un'uscita di emergenza. Piano, piano, evitando a tastoni le panchine ci arrivai, ma la mia intelligenza nel frattempo si era esaurita, così cominciai a esaminare con le mani la parete, nella speranza che si aprisse in qualche modo. Pensai che ci dovesse essere qualche cellula fotoelettrica che avrebbe fatto scattare come d'incanto la porta. Mi spostai a destra e a sinistra dell'indicazione che tutti conoscete - che mostra un omino che scende dei gradini - senza alcun risultato. Ripresi allora a battere contro la porta e sentii finalmente delle voci, tedesche, ma non capii niente. Ripetei a voce alta, e molto seria, che non mi stavo per niente divertendo. Poi finalmente, abbassai le mani. e trovai la sbarra (chiamata antipanico, così mi hanno detto), che fece miracolosamente aprire la porta. Effettivamente erano tutti lì a guardare, ma non mi deridevano, erano tutti preoccupati. Meno mio marito che, seduto lontano, osservava senza nessuna curiosità il capannello di gente agitata, che pigiava bottoni. Perché poi risultò che fuori dalla grotta c'è un pulsante da schiacciare 'in caso di disturbo'. Tralasciamo la traduzione, ma che senso ha mettere un pulsante fuori? Comunque inutile, visto che non aveva prodotto alcun effetto e che nessuno si era fatto vivo per salvarmi!

Per riprendermi da questa brutta esperienza andai a sedermi nella prima panchina che trovai, perché ero effettivamente un po' scossa, e anche mio marito c'era rimasto male. Era sicuro che io mi fossi attardata a leggere i cartellini pianta per pianta - sa che non me ne perdo uno - e si stava beatamente riposando in uno dei numerosi e simpatici posticini all'ombra di cui prima vi parlavo.

La prima panchina che trovai era tra due grandi aiole di peonie. Una visione d'incanto. per l'immaginazione, visto che l'incanto si produrrà solo a maggio. Ah, come vorrei essere qua a maggio, per le peonie, per i glicini, e per tutte le perenni delle bordure erbacee all'inglese, sì, ci sono anche quelle, con tanto di riferimento alla Gertrude Jekyll! Però dopo dovrei tornare a giugno, per le perenni estive e per le rose. Per il momento ho visto solo le perenni autunnali - astri, anemoni, sedum, tantissime graminacee - in tutte quelle varietà di cui si legge, ma che raramente si vedono, e tra tante di cui non ricordo il nome, una mi è piaciuta moltissimo assai, l'Anaphalis triplinervis 'Sommerschnee', è bassa e luminosissima, i petali dei suoi piccolissimi fiori sembrano riflettere il sole. Incantevole. Poi ho visto i rami e le foglie e le bacche di tutti quei rambler che Tony Lord cita nel suo 'Designing with roses'. Mamma mia! avevo il cuore grosso dall'eccitazione, mentre leggevo tutti quei nomi. Di tutte le rose, le più difficili da trovare sono proprio i rambler perché, dato lo spazio che occupano, di norma, un giardino anche di grandi dimensioni ne può ospitare solo qualcuno. Naturalmente per un orto botanico, che decida di avere una collezione di rambler, la faccenda è diversa. Qui, infatti, hanno costruito delle strutture speciali, delle torrette cilindriche di filo di ferro, dove i rami del rosaio vengono guidati. Oppure essi vengono fatti correre lungo pergolati. Rose ce ne sono dappertutto, e di tanti tipi, dalle inglesi alle rugose, agli ibridi di tè, alle paesaggistiche.


Ma dovrei venirci tutti i mesi, vista la collezione di clematidi, dalle primaverili alle autunnali. E gli arbusti! Oh, quanti arbusti, noti e mai sentiti nominare! E le felci?! Mai viste tante felci in vita mia! Pendii di felci, a decine, nella zona giapponese. Tutto nomenclatissimo. E gli aceri e i ciliegi giapponesi? Devo venirci in aprile. Vi immaginate una collezione di prunus da fiore? Ma poi c'è la zona americana, dalle metasequoie agli aceri canadesi. Finalmente ho visto l'Acer griseum, non so in quale continente, ma l'ho visto. Magari tutti voi lo conoscete, ma io l' ho visto solo ieri per la prima volta. Non è che mi ha fatto questa grande impressione (anche perché era ancora piccolo, tutto è giovane e dunque ancora piccolo, è un orto appena nato, vi ricordate?) , ma mi è sembrato di bel portamento.

Ogni anno lo spettacolo sarà più ricco, ma siate certi che ce n'è in abbondanza anche adesso per due visite - la lunghezza della visita dipende molto dalla qualità dei piedi! Il biglietto costa 13mila lire a persona. Ci sono i soliti sconti per famiglie e gruppi; una guida, alle 10.30 di ogni giorno, costa 8mila lire, ma la consiglio solo ai super-resistenti, perché alle 10.50, ora in cui sono arrivata, il gruppetto con guida non aveva fatto più di cento metri... Io ricordo ancora una gita in Friuli con un amico altoatesino, che si portava appresso un libro di 300 pagine, che titolava 'Friuli Orientale' (io ne ho uno di 150 pagine, intitolato 'Friuli'). Non ci perdemmo neanche una pietra tra Gemona e Venzone, e riuscimmo sconvolgere piacevolmente un parroco, chiedendogli di mostrarci un Cristo in legno che aveva in una cappelletta. Andò a prendere la chiave e mentre apriva la porticina religiosamente, ça va sans dire, ci disse che quella era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva! Chissà cosa ne è stato, perché questo fu prima del terribile terremoto del '76 . Anche qui l'anno scorso ci fu un'alluvione, proprio nella parte nord del complesso, ma le tracce sono quasi sparite e non ce se ne accorgerebbe neppure se non ci fosse un cartello a ricordarlo.

 

per saperne di più, visitate il sito www.trauttmansdorff.it