IL GIARDINO DELLE MERAVIGLIE A TRIESTE
LA STORIA DELL'ORTO BOTANICO RACCONTATA DA ODILLA CELLI
di Arianna Boria (da Il Piccolo di Trieste, 29 agosto 2005)

 

Muzio de' TommasiniC'è un filo verde che lega tanti personaggi della storia di Trieste. Studiosi, ricercatori, uomini di cultura, ma soprattutto amanti appassionati della natura, che hanno intrecciato la loro avventura scientifica con la nascita e la storia, spesso tormentata, dell'Orto Botanico.
Muzio de' Tommasini e Carlo de' Marchesetti, nelle loro lettere, lo chiamavano affettuosamente "il nostro Chiadino". E già questo appellativo, quasi si trattasse di un figlio, un po' gracile e per questo tanto amato, la dice lunga sui sentimenti che nutrivano per quell'appezzamento sul colle di San Luigi, nudo all'origine, e diventato a poco a poco, grazie alla dedizione dei suoi curatori, il giardino segreto di tante piante rare.

Le vicende dell'Orto Botanico di Trieste hanno intrigato Odilla Celli, che le ha ripercorse, quasi un "viaggio avventuroso", come lo definisce lei stessa, in un libro edito dall'Associazione Cittàviva e intitolato "II nostro Chiadino". Appassionata di botanica e impegnata nell'Orto fin dal 1998 nell'attività di giardinaggio e come guida per i visitatori, Odilla Celli, socia di Cittàviva, ha scartabellato negli archivi, ha ricercato testimonianze, ha chiesto la collaborazione dei musei, seguendo le tracce dei tanti cultori la cui biografia si confonde con le alterne vicende dell'Orto.


Bartolomeo Biasoletto
Ne è uscito un volume ricco di documenti, fotografie, aneddoti, che si legge d'un fiato, come un capitolo della storia cittadina visto da una singolare prospettiva verde, poco conosciuta.
L'Orto botanico nasce nel 1842 quando il farmacista Bartolomeo Biasoletto, originario di Dignano d'Istria, trasferisce nell'appezzamento tra l'attuale via Marchesetti a sud e via Pindemonte a nord, le specie più rare che coltivava, da oltre vent'anni, nel suo orto farmaceutico. Quest'orto, situato in Contrada Fontana, dalle parti dell'attuale Coroneo, e dal nome sognante di 'Giardino dei semplici', è da tempo assediato da difficoltà finanziarie. La Società di Orticoltura, alla quale viene infine ceduto per evitarne il disfacimento, intende destinarlo a frutteto e Biasoletto si rivolge al podestà di Trieste, Muzio de' Tommasini, suo amico e compagno di escursioni botaniche, per ottenere il permesso di portare a Chiadino le piante più preziose, in quel vasto terreno dove, per conto dell'amministrazione, già sperimenta l'attecchimento del pino nero. Nonostante le sue gravose incombenze di podestà, de' Tommasini è un botanico appassionato, in contatto con molti studiosi europei, ai quali fa conoscere le ricerche locali.

È lui a firmare, nel 1878, un anno prima della sua morte, l'atto di donazione alla città di Trieste dell'immenso erbario al quale aveva lavorato con il "fido collaboratore" Biasoletto, costituendo così ufficialmente l'Orto botanico. Qui confluiscono anche le piante rare coltivate da Elisa ed Henrietta Braig nel giardino adiacente alla loro villa in Campo Marzio, un vero e proprio tesoro verde, seminato o raccolto in tante escursioni, che de' Tommasini salva da avvizzimento certo dopo la morte delle due sorelle, a distanza di un anno l'una dall'altra.

Da de' Tommasini, il testimone passa a Raimondo Tominz, figlio di Giuseppe e fratello di Augusto, ma privo delle qualità artistiche dei consanguinei, che sceglie la botanica per professione e diviene Ispettore alla pubbliche piantagioni e ai giardini di Trieste. È lui a impostare l'Orto nella sua disposizione attuale e a firmare insieme a de' Tommasini, nel 1877, il "Delectus Seminum" con l'elenco delle 254 piante presenti allora a Chiadino, i cui semi sono messi a disposizione per essere scambiati con gli altri orti.

Tominz firma l'Index seminum fino al 1901, in qualità di direttore dell'Orto triestino, sempre sostenuto nel suo operato da Carlo de' Marchesetti che, nel 1876, era stato nominato direttore del museo di Storia naturale.
Tra l'anziano ex-podestà e il giovane Carlo, studente di medicina a Vienna, il rapporto è stretto e affettuoso. Il vecchio maestro e il neofita sono legati dalla comune passione per la botanica e spesso vanno insieme in escursione nel territorio delle Alpi Giulie, nonostante de' Tommasini sia prossimo agli ottanta.

È quest'ultimo a incoraggiare il discepolo a partecipare al concorso per la direzione del museo di Scienze naturali, cosicché, dal 1876, i due si trovano a lavorare fianco a fianco nella loro città. Muzio de' Tommasini muore nel 1879 con la delusione di vedere respinta in quello stesso anno la richiesta avanzata alla municipalità affinché il giardino botanico venga accolto tra gli istituti scientifici di pubblica utilità e gli sia assegnata un'analoga dotazione economica. Il suo sogno si realizzerà solo nel 1903, con l'integrazione dell'Orto botanico nel museo di Storia naturale. I soldi a lui destinati, però, saranno sempre pochi. Carlo de' Marchesetti ammoderna, riorganizza, amplia le sezioni del giardino. Ma la lunga parentesi della guerra e del dopoguerra, lascia il "nostro Chiadino" completamente impoverito, privo di mezzi, in via di estinzione. E pensare che negli anni più floridi aveva raggiunto il numero di seimila visitatori l'anno e aveva provveduto a spedire 5.400 cartocci di semi agli istituti collegati. Dopo Mario Stenta e il contestato entomologo Giuseppe Muller (a lui si deve il piccolo zoo interno a Chiadino), l'Orto viene affidato alle cure del botanico trentino Carlo Lona, che per tutta la vita affianca l'attività di insegnante a quella di naturalista. Lona ama trasmettere ai giovani il suo bagaglio culturale, e il suo brillante spirito pedagogico caratterizza anche l'attività all'Orto botanico, dove, in qualità di curatore, trascorre quarantadue anni, prima accanto a Muller, poi al suo successore Edoardo Gridelli, dal 1948 al 1958, quindi insieme al genero, Renato Mezzena, il quale diventa direttore nel 1960. Lona è infaticabile: apre nuove sezioni, tra cui quella dedicata alle piante medicinali e alle piante di ambiente roccioso, organizza semine e piantagioni, spedisce i semi, intrattiene una fitta rete di rapporti internazionali con altri scienziati.

Renato Mezzena prosegue e amplia quest'opera, programmando fin dal suo insediamento tutta una serie di lavori di riordino e rinnovo che via via svilupperà nel tempo, nell'arco dei trent'anni di direzione. Ma le amministrazioni non sono generose verso l'Orto botanico, come già accadeva ai tempi di de' Marchesetti. E dopo tanti solleciti e perorazioni volti a ottenere personale, lavori, adeguamenti urgenti, il deperimento giunge a un punto di non ritorno e il "nostro Chiadino" chiude, nell'autunno 1989, due anni dopo il pensionamento del direttore.

Nella primavera del 2000 inizia una nuova vita per il giardino di San Luigi, con la riapertura di alcune sezioni. I lavori di ristrutturazione erano stati ripresi dieci anni prima, poco dopo la nomina a direttore del Museo di Storia naturale del biologo Sergio Dolce. Nel 1991 l'Orto è una selva invalicabile, le antiche piante sono andate perdute, le specie infestanti sono diventate alberi. Il ripristino dell'appezzamento richiede un lungo e radicale lavoro da parte dello sparuto gruppo di esperti dipendenti comunali, cui si aggiungono i volontari di Cittàviva.

Nel 1997, un primo segno di rinascita: la ripresa della pubblicazione dell'Index Seminum, firmato dal l'horti prefectus Sergio Dolce, dall'horti curator Massimo Palma e dagli hortolani Renato Furlan, Claudio Raini, Fulvio Tomsich Caruso, con l'elenco di 718 semi proposti per lo scambio. A segnare nel tempo la continuità con il "nostro Chiadino" delle origini, i piccoli fiori gialli che sbocciano nel periodo più freddo dell'inverno, in febbraio, quando la vegetazione dorme ancora. Sono le storiche piantine di pie' di gallo, trapiantate da Muzio de' Tommasini.

 

Il giardino formale a fine ottobre