MONUMENTO E NATURA
di Franco Panzini * (Il Giardino Fiorito, maggio 2005)

A Roma, nei pressi del Colosseo, un gruppo di lecci segna il luogo in cui si ergeva la colossale statua dedicata al dio Elio, voluta da Nerone
II grande albero associato al monumento, la vegetazione, sospendono la dimensione temporale del monumento, o almeno la estendono, la dilatano. Perché avviene questo? Perché al brano di vegetazione, l'uomo assegna un senso di sacralità e di collegamento con l'ultraterreno; il grande albero è l'emblema di una trascendenza che rompe i vincoli di tempo e luogo, per tendere ad una dimensione superiore: quella spirituale. Non è del resto difficile comprendere perché l'uomo riconosca proprio negli alberi una sorta di paradigma della sacralità e del collegamento fra il mondo terreno e l'empireo, il mondo superiore. Le radici dell'albero affondano nella terra, mentre le sue chiome si alzano fino al cielo, l'acqua attinta dalla terra è la sua linfa, ma è dai raggi solari, dalla luce celeste che nascono le sue foglie e i suoi frutti.


Cos'è un monumento? E' un'opera d'arte, un manufatto architettonico, scolpito, dipinto, che per il suo pregio estetico, storico, artistico, morale, o a causa del valore documentario e di memoria che rappresenta, è sottoposto a tutela per la sua conservazione, a particolari vincoli di legge. Ma questo processo di identificazione, riconoscimento della qualità monumentale in un manufatto, non è solo un procedimento amministrativo; infatti, è soprattutto un processo culturale di assegnazione di significato, che opera nei confronti del monumento una sorta di trasformazione.

 

VALORE DI TESTIMONIANZA

Se in origine il manufatto ha, potremmo dire, una sua carta di identità e uno scopo preciso, vale a dire una data di nascita e una funzione specifica, nel momento della sua designazione a monumento, l'oggetto trascende la sua funzione originaria; assume un valore di testimonianza, il cui messaggio si ritiene debba essere trasmesso nel tempo. Non è un caso che quando si riconosce ad una costruzione o a qualsiasi altra opera il valore di monumento, i termini che per esso entrano in gioco sono quelli di conservazione, tutela: nostro compito verso l'opera monumentale, come normalmente si afferma, è quello di trasmetterla ai nostri figli, nipoti, posteri.Il chiostro della Certosa di Padula, con il cimitero dei monaci in primo piano
E questa non è, come si potrebbe pensare, una novità della cultura moderna. Il riconoscimento in alcune particolari opere o ambienti, di un significato di memoria e la conseguente determinazione della loro conservazione, è una pratica assai vecchia. In quella sterminata metropoli che era costituita dalla Roma antica, una città in continua trasformazione, furono mantenuti, a ricordo delle umili origini, tanti diversi cimeli e reperti architettonici delle epoche più arcaiche: luoghi venerabili a cui il verde circostante conferiva un'aura di primitiva sacralità, e persino alcuni boschetti che dovevano ricordare l'ambiente originario in cui la città era sorta.
Questo processo, di riconoscimento e di assegnazione di una particolare qualità monumentale, produce una trasformazione profonda dell'oggetto: il monumento nasce come un manufatto che ha in origine caratteristiche analoghe a quelle di tutti gli artefatti umani; ma tende ad una dimensione svincolata dal tempo, che trascende e valica i limiti della funzione e del momento storico in cui è stato creato.
Ed è appunto in questo processo di ampliamento della dimensione temporale del monumento, che entra in gioco l'elemento naturale: con un processo che chiama in causa la nostra ricezione psicologica. Il grande albero associato al monumento, la vegetazione, sospendono la dimensione temporale, o almeno la estendono, la dilatano. Perché avviene questo? Perché al brano diLa reggia di Versailles con il grande parco che la cinge vegetazione, l'uomo assegna un senso di sacralità e di collegamento con l'ultraterreno; il grande albero è l'emblema di una trascendenza che rompe i vincoli di tempo e luogo, per tendere ad una dimensione superiore: quella spirituale. Non è
del resto difficile comprendere perché l'uomo riconosca proprio negli alberi una sorta di paradigma della sacralità e del collegamento fra il mondo terreno e l'empireo, il mondo superiore. Le radici dell'albero affondano nella terra, mentre le sue chiome si alzano fino al cielo, l'acqua attinta dalla terra è la sua linfa, ma è dai raggi solari, dalla luce celeste che nascono le sue foglie e i suoi frutti.

 

 

LA SACRALITÀ' DELL'ALBERO

Ai grandi baobab sono ancora oggi riservate forme di culto in alcune zone dell'Africa

Sebbene assai raramente, ancora oggi è possibile vedere esempi di vero e diretto culto reso agli alberi; come avviene ad esempio in alcune regioni dell'Africa, dove ai grandi baobab, alberi considerati sacri, sono portate offerte rituali. Ma non sono solo le culture che noi giudichiamo primitive a riconoscere la sacralità dei grandi alberi. Ad un sentimento analogo dobbiamo l'avvio della vicenda che nel secolo scorso, negli Stati Uniti, portò alla formazione delle prime grandi riserve naturalistiche: i parchi nazionali. Il taglio indiscriminato delle grandi sequoie del territorio occidentale del paese, effettuato da imprese private che sfruttavano i territori boscati per fornire traversine alle nuove ferrovie, fece sorgere un movimento di opinione rivolto all'esaltazione della sacralità di queste alberature. Nel 1859, Horace Greeley, giornalista del "New York Tribune", fu mandato a rendersi conto del fenomeno; a proposito delle alberature della Sierra Redwoods, area che insieme alla Yosemite Valley raccoglieva le più grandi foreste di sequoie degli Stati Uniti, così scriveva:" Le sequoie erano di straordinarie dimensioni quando Davide danzò davanti all'arca, quando Salomone pose le fondazioni del Tempio, quando Teseo governò ad Atene, quando Enea sfuggì all'incendio e alla distruzione di Troia [e quando] Sesostris guidò gli egizi vittoriosi nel cuore dell'Asia".Quella componente mitica e sacrale che era riconosciuta alle alberature condusse alla promulgazione dello Yosemite Act del 1864, un decreto firmato dal presidente Abraham Lincoln, che limitò la Yosemite Valley ad "uso pubblico, a luogo di soggiorno e di ricreazione", rendendolo così, ufficialmente, il primo parco nazionale.

 

LA NATURA PER ESALTARE L'ARCHITETTURA

Una porzione del Mall di Washington, il grande parco lineare posto nel cuore dell'area monumentale della capitale statunitense

 


Nel momento in cui un brano di natura, i grandi alberi, sono affiancati ad una costruzione, ha luogo una sorta di slittamento di sacralità; ecco allora, nella tradizione occidentale (ma non solo), la presenza di spazi verdi in luoghi destinati alla ritualità religiosa, o alla spiritualità. Come i chiostri all'interno dei monasteri, i quali, attraverso la composizione di vegetazione, evocano il florido e ordinato mondo ultraterreno; o i cimiteri, i cui alti alberi di nuovo si collegano con scenari celesti.
La medesima ricerca di uno status quasi sacrale dell'architettura, attraverso l'affiancamento alla natura, ha trovato storicamente applicazioni anche del tutto profane. Ne sono ad esempio testimonianza le grandi regge, le dimore regali realizzate in tutto l'Europa sull'esempio e modello di Versailles: da San Pietroburgo a Caserta. Luoghi in cui la dignità regale trovava una sorta di conferma di sacralità appunto nella presenza dei grandi parchi, i boschi che cingono le grandi dimore riservate al re. Ma anche un nuovo paese che non aveva re, come gli Stati Uniti, scelse di configurare la capitale, Washington, con il medesimo atteggiamento. Il progetto urbanistico della città, redatto nel 1791, prevedeva che i principali edifìci pubblici si componessero intorno ad un grande prato alberato centrale. Ed effettivamente ancora oggi Washington ha come struttura urbana centrale un grande parco alberato lineare: il Mall; il quale conferisce a tutti gli edifici che lo cingono, dalla Casa Bianca alla sede del Congresso, quell'accento particolare, di diversità e preminenza, che appunto riconosciamo a questi edifìci. Anche nel secolo appena passato si possono trovare esempi di ricerca di sacralità, o almeno eccezionalità attraverso l'utilizzo di elementi naturali: dalle parole d'ordine del regime fascista riportate sulle pendici montane attraverso ordinate piantagioni, alla gigantesca scritta che a Hollywood domina la cittadella del cinema da un colle verdeggiante.

 

 

Allegoria della chiesa e dei suoi santi in forma di albero - particolare di un retablo messicano del XVII secolo


LA RISCOPERTA DEL MONDO ANTICO

Se è vero che appunto la composizione fra natura e architettura, assegna a quest'ultima una caratterizzazione di particolare venerabilità, non stupirà allora il verificare che per la cultura occidentale moderna, la riscoperta del mondo antico è stato sovente intimamente legata a questa coniugazione. Quando nel Settecento ci si appassionò alla grande architettura classica del bacino mediterraneo, che attraverso scavi e viaggi veniva allora meglio conosciuta, l'autorità di quegli stili architettonici arcaici che si trasmise all'arte del periodo, fu fortemente incrementata proprio dalla suggestione delle antiche rovine, percepite nella contaminazione con l'ambiente naturale, la quale aumentava l'arcaica sacralità che queste emanavano. Basti pensare a quanto avvenne in Campania, dove i viaggiatori scoprirono i Campi Flegrei, amati senza riserve proprio per l'eccezionale qualità delle associazioni mitiche e storiche con la bellezza naturale, ma soprattutto Paestum. In questo luogo, misteriosi templi si alzavano, immensamente evocativi e vitali, in un romantico paesaggio di alberi contorti, acquitrini e bufale. Le centinaia di descrizioni, incisioni, acquerelli, modelli in sughero che ritraevano quel luogo straordinario forgiarono una sensibilità, potentemente rivolta ad associare la dignità del mondo antico, con la presenza della natura.
Secoli dopo, lo stesso clima di incantato stupore ha accompagnato la scoperta delle civiltà precolombiane americane, le quali proprio dal disvelare le proprie testimonianze allacciate profondamente all'ambiente forestale da cui sono state sommerse, hanno tratto quel carattere di misteriosa sublimità che ancora le connota.

 


LA STRAORDINARIA "PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA"

La sistemazione del sito archeologico
di Paestum evoca ancora la naturalità
del momento della sua scoperta


Così quando lentamente si andarono affinando non solo metodi di conoscenza e studio dei monumenti antichi, ma anche culture di conservazione e valorizzazione, questa associazione fra monumento e natura ha continuato a persistere, al punto da entrare a far parte della pratica consueta di sistemazione dei siti monumentali. Solo per citare un esempio, basti pensare alla straordinaria "Passeggiata archeologica", costituita a Roma dagli ultimi decenni dell'Ottocento: dove una sequenza continua di aree archeologiche, dalla valle dei Fori alla via Appia, sono unite in un parco lineare continuo ombreggiato dai grandi pini.
Nelle aree archeologiche, le essenze vegetali hanno anche fornito il materiale per vere e proprie evocazioni di parti architettoniche o monumenti scomparsi, secondo una pratica in uso già dagli anni Venti del secolo scorso. Recentemente, ancora a Roma, si è evocata con un gruppo di lecci, la presenza della colossale statua perduta del dio Elio, fatta erigere dall'imperatore Nerone nei pressi del sito che avrebbe poi accolto l'anfiteatro del Colosseo; parimenti, nei pressi del Circo Massimo, un filare di cipressi è stato recentemente piantato nel sito esatto su cui si ergeva il Septizodium, una quinta monumentale che accoglieva coloro che entravano in città dalla via Appia. In entrambi i casi le alberature sono state ritenute l'unico materiale idoneo a richiamare in vita il passato, compatibile con l'eccezionale qualità, appunto la sacralità, dei luoghi.


Un filare di cipressi evoca a Roma la scomparsa quinta architettonica monumentale del Septizodium, nei pressi del Circo Massimo

 

 

IL BOSCO DI QUERCE DI GRADARA

Il bosco di querce di Gradara deve la sua qualità particolare a più ragioni. E' in primo luogo un insieme ambientale di rilievo, un'emergenza naturalistica che ricorda fra l'altro la diffusa presenza di macchie di quercia nel paesaggio storico della regione Marche; ma è parimenti parte essenziale di un contesto più ampio e complesso, a cui il bosco appartiene insieme al castello e al borgo fortificato di Gradara.
La macchia fa parte di un ambiente che nel suo insieme, architettonico e ambientale, evoca una storia passata, la cui testimonianza è ancora oggi trasmissibile, proprio per la permanenza di un complesso architettonico, la cui qualità particolare è valorizzata dalla presenza di un luogo altrettanto evocativo: il bosco.
Ecco allora che anche nel caso di Gradara, il bosco che cinge alla base la sua rocca, venne piantato probabilmente nel secolo scorso, a sottolineare il passaggio del luogo da architettura militare ad arcadico monumento; le querce di Paolo e Francesca, abbracciate alle mura antiche, danno enfasi all'architettura come al mito romantico dei due amanti.
Vale la pena di ricordare, infatti, che il borgo fortificato di Gradara è una complessa macchina militare la quale, quando non era ancora monumento, non tollerava affatto la presenza di alberature nelle sue vicinanze. Per ragioni difensive, lo spazio circostante le mura urbane era sempre completamente libero da ostruzioni di ogni sorta, cosicché non offrisse forme di protezione agli assedianti, rispetto al fuoco difensivo. Per convincersene, basta esaminare l'iconografia storica del borgo, come la bella veduta di Gradara, disegnata da Francesco Mingucci e contenuta nel manoscritto da lui redatto nel 1626, che porta il titolo di Stati Dominii Città Terre e Castella dei Serenissimi Duchi e Principi Della Rovere. In esso il bosco di querce non compare, e il terreno dove oggi si erge è un arativo.
II fenomeno avvenuto a Gradara, dove un bosco ha preso il luogo di uno spazio difensivo aperto, non è isolato; le architetture militari, per la loro particolare configurazione, hanno ovunque favorito l'introduzione del verde al margine dell'ambiente urbano, una volta persa la funzione difensiva.
Basti pensare al singolare fenomeno del rinverdimento delle cinte murarie urbane. In molti luoghi queste, a partire dal XVI secolo, furono rinforzate con l'aggiunta di terrapieni interni che avevano l'unica funzione di resistere ai colpi dell'artiglieria. Quando non si temettero più offese belliche, quei terrapieni offrirono l'opportunità di essere rinverditi e alberati, e divennero magnifici passeggi urbani. Quali ad esempio ci offre ancora oggi l'esempio della cinta muraria di Lucca, con il suo parco anulare sulle mura, o a Pesaro il più modesto ma significativo esempio degli Orti Giuli: un giardino pubblico del primo Ottocento, realizzato sul terrapieno contenuto all'interno di un bastione delle mura cinquecentesche. Questo bosco di Gradara, al di là del suo valore botanico intrinseco, evoca quindi una scena ben più complessa, quella delle infinite sfaccettature attraverso le quali l'uomo percepisce la natura: anche per questo va protetto e conservato.

 

 


Il volume "le querce di Paolo e Francesca"

Relazione presentata al Convegno "Le querce di Paolo e Francesca" -Tutela e valorizazione degli alberi monumentali. Aspetti tecnici e normativi.
Gli Atti sono stati pubblicati nelle "Esercitazioni dell'Accademia Agraria in Pesaro" e comprendono i seguenti titoli:
• La tutela degli alberi monumentali: il quadro normativo e gli obiettivi gestionali;
Il monitoraggio delle querce della Rocca di Gradara: metodologia, risultati ed indicazioni applicative;
• Monumento e natura;
• Alberi monumentali e paesaggio;
La tutela della flora nella legislazione marchigiana;
• Gli alberi autoctoni nelle Marche e la loro utilizzazione a scopo ornamentale;
• Gli alberi monumentali nel comune di Fano.


II volume può essere richiesto a: Accademia Agraria in Pesaro, via Mazza 9, 61100 Pesaro Tel/Fax 0721.64232 - E-mail: accademia.agraria@libero.it

 


* L'Autore è docente della Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università degli Studi di Camerino