IL MESTIERE PIU' ANTICO DEL MONDO
di Antonio Leotti

(a cura di Ornella Ferrari Gigante, 21 febbraio 2012)

 

Ecco un libro assolutamente difficile da catalogare perché unisce tratti elegiaci di un lirismo assoluto ad una denuncia giusta ma durissima. Una denuncia della disattenzione e dell'incompetenza che purtroppo distinguono la nostra politica. E' un libro che spiega meglio di qualsiasi altro cosa vuol dire lavorare e far rendere la terra cercando di sopravvivere alle migliaia di leggi e leggine che la nostra politica ha partorito nella più completa ignoranza di cosa l'agricoltura sia veramente...
E' dolce e struggente l'«Amarcord» dell'infazia. Un bambino molto benestante la cui madre è una latifondista toscana, passa le sue vacanze e le sue domeniche in campagna, nelle fattorie materne e si mescola, pur con una certa disapprovazione dei genitori, coi figli dei contadini, che diventeranno i suoi compagni di avventure. Frutta rubata, caccia con una balestra fatta con una stecca di ombrello, nidi violati, insomma tutte le esperienze che fanno i fortunati bambini di campagna. Così i ragazzini di città (Roma è la città di residenza familiare) gli sembreranno insulsi, inutili, incapaci, senza le abilità manuali che distinguono i piccoli contadini. Ogni ritorno a Roma diventa motivo di tristezza ed infelicità, perché è là tra i campi e le trebbiature la sua vita vera. Questa dicotomia della sua anima gli causerà non pochi problemi di identità e lo spingerà, da adulto a cercare di dimenticare la troppo amata campagna per dedicarsi al suo altro amore, la cinematografia.

Gli anni settanta, con le aspre lotte di classe, la morte del padre, l'impossibilità di seguire tutto quel lavoro agricolo che lentamente passava dal rendere poco al rendere niente, quando non si trattava di un passivo assoluto. E sua madre, rimasta sola, decide di vendere la maggior parte della terra.

Con la vendita di tutti quei terreni se ne andavano i sogni dell'infanzia, i ricordi incantati e splendenti della giovinezza.

Restavano comunque ben 400 ettari, una azienda agricola quindi abbastanza grande che la madre non vuole vendere per non perdere l'identità e per lasciarsi una possibilità di sopravvivenza. «Non si sa mai!»

Tony capisce ora, da adulto, quanto sua madre sia stata abile ed energica nel risolvere, dopo che era rimasta vedova, una situazione al limite della sostenibilità. Così, dopo aver avuto delle felicissime esperienze cinematografiche, decide di ritornare al suo primo amore e gestire l'azienda agricola di famiglia. Dovrà imparare a coltivarla e farla rendere con fatica e con dolore, ma anche con tanta soddisfazione e soprattutto tanto amore. Il recupero dell'amata terra è la lenta riunione dell'anima alla sua vera appartenenza. «Tornare all'armonia che assomigliava così tanto a una possibile definizione di bellezza». «In fondo il tempo è un sentimento» ci descrivono meglio di qualsiasi commento i sentimenti di questo coinvolgente, abile autore.

Una riflessione intelligente, disincantata sulle leggi economiche che regolano l'agricoltura, distruggendola, purtroppo, nella completa ignoranza di quello su cui legiferano. Ed anche una riflessione sugli ormai pochi agricoltori, che si lamentano e si lagnano, ma non riescono ad abbandonare «il mestiere più antico del mondo» («...che non è quello delle prostitute, perché noi c'eravamo ben prima di loro...») perché amano la loro terra più di qualsiasi altra cosa.

L'autore scopre anche tra delle carte abbandonate il documento che provava che sua madre era ebrea, mentre lei lo aveva sempre negato. Un recupero, anche se doloroso, della verità che lo legherà ancora di più alla sua terra.

La bellissima e puntuale descrizione dell'arroganza e tracotanza dei cacciatori, che calpestano i campi di grano con la sicurezza di non essere mai puniti: una Casta di intoccabili. La rabbia e il dolore per non potere fare nulla per cacciarli dalle sue terre.

Il finale è un grido di dolore contro la burocrazia miope, le leggi assurde che strangolano l'agricoltura, questa così importante scienza, perché di scienza si tratta, che non deve andare perduta né dimenticata, ma aiutata a vivere ed a prosperare, perché senza di lei non possiamo vivere e siamo qui a raccontarlo proprio grazie a lei, il mestiere più antico del mondo.