CARNIVORE,
creature misteriose

Uniche e peculiari nel regno vegetale, le piante carnivore hanno forme curiose,
fioriture strane e, naturalmente, un particolarissimo regime alimentare.

di Luisa Ferrari (Giardinaggio, novembre 2011)

La bella pianta delle paludi


Strana e affascinante, la Sarracenia proviene dagli ambienti umidi e paludosi dell'America. Presenta alti ascidi, foglie modificate che alla sommità diventano curiosi opercoli o coppe, utili a catturare le prede tramite varie strategie (con i colori, con il nettare ecc.).

Il genere Sarracenia comprende otto specie, con ascidi conici, in vari colori dal verde al rosso e al porpora. Secondo la specie, gli ascidi possono essere diritti ed eretti o orizzontali, minuscoli o raggiungere il metro di lunghezza.

Le origini delle piante carnivore rimangono in parte ancora avvolte dal mistero, perché la struttura erbacea che le contraddistingue non ha permesso la formazione di veri e propri reperti fossili, che caratterizzano invece le specie vegetali arbustive o legnose. Gli unici dati disponibili si devono al ritrovamento di esigui campioni di polline e semi, mentre più ampie indicazioni relative alla loro evoluzione consistono in dibattute "deduzioni botaniche” basate sulla struttura degli attuali meccanismi di cattura delle prede, peraltro molto diversi tra loro.

Il primo trattato riguardante queste piante tanto singolari quanto affascinanti, a opera di Charles Darwin, risale al 1875 ma la definizione di 'carnivore' (in sostituzione del precedente termine 'insettivore') venne loro attribuita da Lloyd solo nel 1942, quando fu scoperto che non si nutrivano soltanto di insetti ma anche di protozoi, artropodi e altri minuscoli animaletti.

 

Strane e seducenti


A sinistra, le Nepenthes sono piante semirampicanti che assumono una crescita a liana, con foglie grandi e ascidi dalla curiosa forma simile a un otre che, in alcune specie, supera la capacità di due litri, munito di un opercolo che fa passare le prede ma non l'acqua piovana. A destra, Sarracenia x 'Juthatip Soper' è un ibrido con numerosi ascidi conici molto eleganti, alti fino a un metro, il cui colore varia dal viola al rosso porpora.

 

I motivi di una scelta alimentare

Sin dai primi tentativi di coltivazione, nella seconda metà del 1800, le carnivore sono state accompagnate dalla fama di essere 'difficili' ma in realtà il vero problema era la totale mancanza di informazioni circa la loro vera natura. Introdotte forzatamente in Europa come novità esotiche da collezionista e coltivate poi come piante comuni, senza cognizione alcuna delle loro richieste fondamentali, non potevano certo prosperare, anzi generalmente perivano in breve tempo con grande disappunto dell'acquirente. Attente ricerche ambientali le rendono oggi più accessibili e di conseguenza "addomesticabili", seppure richiedano una certa dedizione.
Per comprendere a fondo la natura di queste eccentriche rappresentanti del regno vegetale è essenziale premettere che l'insolita 'scelta alimentare' non è fortuita bensì strettamente collegata a un mirato processo di adattamento all'ambiente di provenienza. La maggior parte delle specie appartiene infatti ad habitat molto particolari, come paludi, brughiere o rocce affioranti, caratterizzati da terreni fortemente acidi e poveri, o addirittura privi, delle sostanze nutritive normalmente fondamentali all'accrescimento, tra cui fosforo, potassio e in particolare azoto, che può essere integrato invece attraverso la digestione di proteine animali.
Per lo stesso motivo le vere carnivore presentano un pane radicale molto ridotto in rapporto alle dimensioni complessive: focalizzano le loro energie nella costruzione di trappole e nella produzione degli enzimi digestivi piuttosto che accrescere la massa radicale, come normalmente avviene per la maggior parte delle piante, affidando alle foglie invece che alle radici il compito di provvedere alla nutrizione.


Lo sapevate che...

• La riproduzione asessuata in cattività avviene mediante la produzione di gemme o con la divisione dei rizomi.

• La riproduzione sessuata avviene mediante la formazione di fiori che una volta fecondati origineranno i semi. Alcune specie sono ermafrodite, essendo presenti nel loro fiore sia stami che pistilli mentre altre sono dioiche, quindi esistono piante maschili e piante femminili.

• Poiché nella maggior parte delle carnivore l'impollinazione è affidata agli insetti, queste piante hanno dovuto sviluppare metodi per evitare di uccidere gli impollinatori. Le Sarracenie sviluppano il fiore dopo il riposo invernale, prima di produrre i nuovi ascidi, mentre la Dionaea lo eleva all'apice di un lungo stelo lontano dalle trappole, la cui produzione viene interrotta durante la fioritura. Altre specie si affidano invece al colore o al profumo dei fiori per attirare insetti troppo grandi da catturare.




Piante ad alta specializzazione

Sebbene alcune specie presentino un ciclo annuale, nella maggioranza dei casi sono erbacee capaci di sopravvivere qualche anno, oppure formare colonie più ampie per mezzo di stoloni. Altamente specializzate, le carnivore sono deboli competitrici nei confronti di altre specie poiché incapaci di reagire a drastiche alterazioni dell'ambiente. Circostanze naturali o dettate da cambiamenti climatici o ecologici, quali un graduale essiccamento del terreno o l'improvvisa riduzione della luce, ne provocano rapidamente la morte, seguita dalla pronta invasione di piante infestanti, più efficienti nel compiere la fotosintesi in situazioni che si avvicinano a quelle normali. Esistono circa 600 specie di carnivore, diffuse in tutto il mondo e distribuite in circa 12 generi e 5 famiglie, che pur condividendo la necessità di procurarsi proteine animali, si differenziano principalmente per i diversi meccanismi di accalappiamento delle prede. Seppure la teoria sia dibattuta a causa della scarsità di dati certi, si presume che tutte le tipologie di trappole oggi esistenti siano modificazioni progressive di una struttura di base analoga: le foglie ricoperte di "peli" (che consistono in realtà in vere e proprie ghiandole pilifere idonee alla cattura degli insetti e al trattenimento delle gocce di pioggia), nelle quali possono proliferare i batteri necessari al processo di decomposizione dei malcapitati insetti. Le sostanze nutrienti derivate dal cadavere diventano così assimilabili direttamente dalle foglie.

 

Trappole ingegnose

Anche se talvolta si assommano in combinazioni doppiamente efficaci, i metodi di intrappolamento sono essenzialmente cinque: le trappole ad ascidio (molte Sarracenia e Nepenthes) imprigionano la preda all'interno e si pensano derivate da foglie arrotolate, contenenti enzimi digestivi e batteri; le trappole adesive (Pinguicola, Drosera, Aldrovanda) provvedono invece alla cattura tramite una mucillagine collosa secreta dalle foglie con effetto simile alla carta moschicida; le Drosera anglicatrappole a scatto o a tagliola (Drosera, Dionaea, Aldrovanda) sono caratterizzate da un rapido movimento delle foglie che immobilizza l'animale al loro interno e sono spesso anche adesive; le trappole a aspirazione (Sarracenia psittacina, Utricularia) risucchiano la preda con una struttura simile ad una vescica, detta utricolo, dentro cui si genera un vuoto di pressione, mentre le trappole a nassa (Genlisea) presentano peli che dirigono forzatamente l'insetto all'interno dell'organo digestivo. Molte specie possono contare su diversi stratagemmi simultanei, sia nella fase di cattura che in quella digestiva: la parete di molti ascidi è coperta da uno strato ceroso e scivoloso per gli insetti, attratti sia dal nettare secreto dal peristoma (l'orlo che borda l'apertura dell'ascidio, in molti casi particolarmente pronunciato), sia dalla brillante colorazione antocianina che emula i cromatismi dei fiori normali. Nella Sarracenia flava, una delle carnivore più belle e relativamente facili da coltivare, il nettare è mescolato a coniina, un alcaloide tossico presente anche nella cicuta che incrementa l'efficienza della trappola intossicando la preda stessa. Il fluido raccolto sul fondo dell'ascidio di molte Sarracenia contiene inoltre enzimi digestivi, come proteasi e fosfatasi, prodotti dalla pianta stessa per facilitare la digestione delle proteine e degli acidi nucleici e l'assorbimento di amminoacidi e fosfato.

 

Una strategia per ogni preda

La diversificazione e l'ingegnosità delle trappole fornisce inoltre una valida risposta alla necessità di specializzarsi nella cattura di specifici tipi di preda: le trappole adesive accalappiano insetti volanti di piccole dimensioni, mentre quelle ad ascidio li preferiscono di maggiori dimensioni, la trappola a tagliola è invece particolarmente adatta a imprigionare insetti terricoli, anche relativamente grandi. Un altro grande gruppo di carnivore, il genere Nepenthes, con circa 100 specie, possiede ascidi sostenuti dalla parte finale di un picciolo, o viticcio, che si estende dalla nervatura principale della foglia per sospendere le trappole a varie altezze. Molte si accontentano di insetti, ma le più grandi, come N. rajah, possono catturare persino piccoli mammiferi e rettili attirati dal cibo contenuto nelle trappole a sacca. Sebbene gli ascidi servano principalmente per la cattura e la digestione delle prede, possono contenere vere e proprie "comunità" costituite da larve di ditteri, ragni, formiche e acari.

In base all'intervento fìsico della pianta, i meccanismi di intrappolamento si diversificano in attivi o passivi: le trappole ad ascidio e quelle semplicemente adesive si considerano passive, perché la cattura non è accompagnata da un movimento apparente del fogliame. Quando però all'apparato adesivo si assomma la presenza contemporanea di foglie che, con una rapida crescita cellulare, si rinchiudono improvvisamente ingabbiando l'insetto, il meccanismo è visibilmente attivo. Il genere Drosera, estremamente cosmopolita e rintracciabile in tutti i continenti eccetto l'Antartide, comprende oltre 100 specie con trappole adesive attive, in cui le ghiandole pilifere sono poste all'estremità di lunghi tentacoli che si muovono prontamente in risposta alla cattura, ripiegandosi anche di 180° in meno di un minuto. Le foglie rimarranno poi chiuse per il tempo necessario alla digestione delle proteine, riaprendosi in seguito. Nella più nota Venere acchiappamosche (Dionaea muscipula), le chiusure inutili (in risposta a gocce di pioggia o alla caduta di detriti) sono prevenute da una semplice memoria posseduta dal fogliame: per serrarsi sono infatti richiesti due stimoli distanti tra 0,5 e i 30 secondi. È inoltre necessario che la stimolazione continui anche dopo la chiusura della foglia perché la digestione abbia inizio, in caso contrario la foglia si riapre il giorno dopo per continuare la caccia.



Coltivarle in casa: le regole di base
Anche se le diverse specie hanno richieste variabili in termini di esposizione, umidità e terreno, la maggior parte degli esemplari che possiamo provare a tenere in casa condividono alcune caratteristiche comuni.
Dionaea muscipula
Dionaea muscipula
fiorellino di Pinguicula

• Acqua: richiedono acqua dolce povera di minerali, come acqua piovana non contaminata da smog. È importante raccogliere l'acqua in contenitori di plastica e non metallici. Le comuni acque imbottigliate sono da evitare: contengono minerali, in particolare sali di calcio, che provocano la morte della pianta. L'acqua distillata rappresenta la soluzione ottimale; nel caso di una collezione numerosa, può essere vantaggioso installare un impianto per ottenere acqua deionizzata per osmosi inversa.

• Umidità: in natura queste piante vivono in situazioni paludose o in ambienti tropicali e necessitano quindi di elevata umidità, che si può ottenere raggruppando vari esemplari in un sottovaso e irrigando in modo da mantenere due dita d'acqua alla base. Versare l'acqua nella sottocassetta e mai sul vaso o sulla pianta. Molte specie apprezzano una leggera vaporizzazione, ma non direttamente sul fogliame. Le piccole specie (Dionaea e alcune Nepenthes) crescono bene in ampi terrari o vasi di vetro.

• Luce: richiedono un ambiente soleggiato (almeno 12 ore di luce) a cui rispondono sintetizzando pigmenti rossi e viola che le rendono spettacolari. A eccezione delle Nepenthes, che preferiscono luminosità diffusa, molte altre, come le Sarracenia, amano la luce diretta. Per alcune è necessario ricreare artificialmente una buona luce d'inverno.

• Temperatura: le carnivore dei climi temperati, sebbene non sopportino il forte gelo, possono essere poste all'esterno per la maggior parte dell'anno. D'inverno vanno tenute in un posto freddo, con temperature attorno a 2-5 °C, in modo che entrino in dormienza fino alla primavera successiva, altrimenti cresceranno stentate e indebolite. Fanno eccezione le Nepenthes, che essendo tropicali, richiedono una temperatura da 20 a 30 °C per sopravvivere.

• Terriccio: deve essere povero di nutrienti. Apprezzano un misto composto da tre parti di torba acida (pH non superiore a 5) e povera di azoto ottenuta dalla decomposizione di un particolare muschio che accompagna le carnivore allo stato brado (lo sfagno) e una parte di sabbia orticola o perlite. Le Nepenthes crescono bene nel terriccio da orchidee o in un substrato di sfagno puro. Per alcune specie, come Sarraceniacee, è consigliata l'aggiunta del 10% di vermiculite, reperibile nei consorzi o centri specializzati, oppure il ghiaino di quarzo usato per gli acquari.

• Rinvaso: si effettua a fine inverno (generalmente a febbraio), ma non è un processo regolare. Le condizioni dell'esemplare vanno valutate individualmente per determinare se un contenitore più ampio sia necessario, viste le modiche dimensioni del pane radicale. Il vaso nuovo dovrà essere solo leggermente più grande e in plastica, che evita la formazione di organismi nemici come muffe, funghi o le alghe.


 

Dieta fai-da-te per piante carnivore

• Le carnivore coltivate all'esterno catturano prede sufficienti per un buon accrescimento, ma in appartamento questa funzione può venire a mancare. In caso di carenza, si possono fornire manualmente insetti (altri nutrienti, sia sotto forma di concimi che biscotti, carne o frutta sono inutili e talvolta fatali). Per integrare l'alimentazione è possibile ricorrere a un allevamento artificiale di prede.

• Un insetto che si può riprodurre facilmente è la drosofila, il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), piccolo ma con un buon valore nutritivo. Per iniziare "l'allevamento" sono necessari moscerini selvatici che appaiono anche in appartamento, attratti dalla frutta matura. Si possono incoraggiare schiacciando uno o più frutti con polpa (banane, pere, pesche) e aggiungendo un pizzico di lievito diluito in acqua. Il miscuglio deve fermentare per 3-4 giorni.

• Si deposita un cucchiaio di miscuglio fermentato in fondo a un contenitore da 1,5 litri (anche una bottiglia a collo ampio) in vetro trasparente. Lasciando aperto il contenitore, i riproduttori adulti verranno attratti dall'odore e vi deporranno le uova. Quando appaiono le larve, chiudere la bottiglia con una calza velata fermandola con un elastico, in modo che la coltura possa respirare. Quando il miscuglio emana odore di ammoniaca è necessario sostituirlo con nuovo composto di frutta.

• Per catturare i moscerini si utilizza un contenitore di uguale diametro. Si avvicinano le bocche dei vasi: illuminando il fondo di quello vuoto vi si attireranno le piccole mosche. Nel nuovo vaso si aggiunge qualche cm d'acqua e si agita: con le ali bagnate, le mosche non potranno alzarsi in volo e si potranno somministrare con facilità alle piante!


Ascidi e fiori, che diversità di forme!

• In alto a sinistra: Dionaea muscipula, nota come Venere acchiappamosche, incarna la classica rappresentazione della pianta carnivora, con una rosetta di foglie dentellate, che si chiudono a scatto sulla preda.

• In alto a destra: Sarracenia flava var. rugelii: del genere Sarracenia fanno parte otto specie, ma un'infinità di ibridi. S. flava ha ascidi eleganti e vistosi, alti anche 80 cm. La varietà rugelii si differenzia da S. flava per l'appariscente macchia rossa sulla gola dell'opercolo.

• In basso a sinistra: Heliamphora, dal greco 'helo', palude e 'amphora', urna, è una perenne dall'altezza variabile da 10 cm a 1,5 m, con rosette di ascidi muniti di un piccolo opercolo, di colore verde, venati o tinti di rosso.

• In basso a destra: Sarracenia rubra, originaria dell'Alabama, deve il nome della specie, rubra, al latino 'ruber' che significa rosso, riferito al colore rossastro dei bei fiori primaverili, appariscenti e dal buon profumo che ricorda le rose.

 

 

La complessità delle trappole


La dieta carnivora risulta vantaggiosa quando lo stress nutritivo è molto alto e la luce è abbondante. In condizioni diverse, alcune piante sono in grado di farne temporaneamente a meno. Alcune specie di Sarracenia producono d'inverno foglie piatte, non carnivore, dette filloidi, sia per la diminuizione dei livelli di luce e delle temperature che per la mancanza di insetti.
Qualsiasi danno ai nuovi ascidi in via di formazione ne impedisce lo sviluppo completo, favorendo invece la produzione di filloidi da parte della pianta, perché la produzione di una trappola difettosa e inefficiente non vale l'energia impiegata per costruirla.

Le trappole a nassa sono tipiche delle Genlisea, dette piante cavaturaccioli. In queste piante, che appaiono specializzate nella cattura di protozoi acquatici, una foglia modificata a forma di 'Y' consente l'entrata alla preda, ma non l'uscita. Ciò avviene grazie alla presenza di peli diretti verso l’interno che forzano la preda a muoversi in una particolare direzione.

Le trappole ad aspirazione sono esclusive del genere Utricularia. Queste piante posseggono delle vescicole, a forma di sacco e chiamate utricoli, che pompando ioni verso l'esterno, provocano una fuoriuscita d'acqua e la conseguente creazione di un vuoto al loro interno. L'utricolo possiede una piccola apertura sigillata ermeticamente da una porta. Nelle specie acquatiche, la porta è dotata di un paio di lunghi peli innescanti. Gli invertebrati acquatici (come le pulci d’acqua) che toccano questi peli provocano l'apertura della porta verso l'interno. Il rilascio del vuoto genera un risucchio che aspira l'acqua e la preda all'interno della vescicola, dove poi avviene la digestione. Le dimensioni degli utricoli variano da 1 a 4 mm.