Il giardino delle parole


di Mariangela Barbiero
31 agosto 2020

Io amo le parole come amo le piante, e non potrei mai fare una scelta alternativa tra loro. Fortunatamente invece, quando ho perso il lavoro come traduttrice, ho potuto usare le mie competenze linguistiche per aprirmi meglio al mondo delle piante e col senno di poi ho rimpianto di aver tanto lottato invano per riaverlo: a saperlo avrei potuto dedicarmi ai giardini molto prima e magari ne avrei fatto un lavoro pagato. Pazienza.

Sono appassionata di neurolinguistica, disciplina che si sta aprendo a nuove fantastiche frontiere. Uno degli scienziati per me più interessanti è Andrea Moro (I confini di BabeleParlo dunque sonoBreve storia del verbo essere, tra le opere sue che ho letto). Una delle più recenti teorie in questa disciplina è che alla nascita il nostro cervello contiene tutte le sintassi possibili (ma non quelle impossibili) e che crescendo abbandoniamo quelle in cui non siamo coinvolti – detto proprio proprio in soldoni soldoni. Per cui bene sarebbe che i piccoli imparassero quante più lingue possibile prima dei 5-6 anni, preferibilmente di ceppi diversi, come romanze, slave, sassoni, e meglio ancora se ancor più diverse, come cinese, finnico, arabo, ecc. La tesi è che, seppur non praticate per sempre, anche in tarda età non se ne dimenticheranno mai completamente, resteranno come memoria procedurale. Quindi potremmo partire da questa premessa per insegnare ai piccoli i nomi di fiori e piante.

Per gli adulti, per poter parlare senza pericolo di fraintendimenti, dall'Islanda all'Australia, è stato messo a punto un sistema geniale, il Sistema Naturae, cioè la nomenclatura binomiale creata da Linneo in lingua latina nel XVIII secolo. E qui si potrebbe fare un discorsetto sull'utilità di studiare il latino, e magari anche il greco, che faciliterebbero l'apprendimento di termini scientifici e non solo, oltre all'intrinseco fascino di trovare le radici della nostra lingua.

È vero che per comunicare tra giardinieri di nazionalità diversa abbiamo il latino, tuttavia è un peccato che non possiamo usare in patria i nomi comuni per le piante più comuni, come fanno francesi, inglesi e tedeschi, spagnoli e immagino tanti altri popoli. Credo che noi italiani abbiamo consciamente o inconsciamente cancellato la memoria contadina. Io, non avendone mai avuta una, ogni volta che posso italianizzo i nomi latini. Il Ceanothus lo chiamo ceanoto, per esempio, Streptocarpus streptocarpo, Caryopteris secondo alcuni potrebbe essere cariòptera (io ci devo ancora pensare, mi fa un po' senso), ma come italianizzate Abeliophyllum distichum, visto che l'abelia esiste già? Più spesso sì che no i botanici fanno perdere il buonumore.

 


Per tornare alla neurolinguistica, secondo la mia esperienza potrei essere d'accordo con Andrea Moro, cioè che la memoria sia allocata nel cervello in una determinata area: mio marito ridacchiava dicendo che, se l'intelligenza fosse organizzata in cassettini, io ne avrei di stracolmi e altri quasi vuoti, come quelli di matematica, per esempio, ma questa è un'altra storia.
Mi sono accorta sì che la conoscenza delle lingue mi ha concesso di accedere alla letteratura europea sul mondo delle piante ma mi sono anche resa conto che il mio cervello per raggiungere questo risultato ha dovuto vuotare alcuni cassettini per far posto ai nuovi termini botanici. Ho lavorato per trent'anni come traduttrice tecnica per cui, tanto per dire, conoscevo il nome delle parti di ricambio del motore diesel in inglese, francese, tedesco, spagnolo. Quando ho voluto memorizzare i nomi scientifici delle piante, senza rendermene conto ho fatto loro posto mandando nella cantina del cervello tutti i termini che ormai non mi servivano più. E la comprova ne fu che un giorno mi accorsi di non ricordare come si diceva 'albero motore' in inglese, mentre mi ricordavo perfettamente lo spagnolo cigüeñal e il tedesco Kurbelwelle. Ma ci arrivai, per strade traverse (non c'era ancora Google traduttore), cioè pensai all'albero a camme, e mi apparve subito il termine camshaft, e di qui mi si illuminò l'angolino buio: "crankshaft", da crank, manovella (vi ricordate che ai primordi dell'umanità le auto si mettevano in moto con la manovella, appunto!?) per cui capii che i termini non li avevo cancellati, ma messi in cantina al buio, dove per trovar le robe ti serve appunto una lampadina (Eureka!).

Parole, parole, parole… Un giorno, molti anni fa, decisi che 'fare del giardinaggio' era una locuzione che mi faceva imbestialire. I francesi dicevano 'jardiner', gli inglesi 'to garden', i brasiliani 'jardinar', così decisi che 'giardinare' sarebbe andato benissimo. Andò così bene che Gardenia lo adottò. Avevo scoperto che esisteva già nel lessico della falconeria e che significa portare il falco all'aperto. Ma oggi c'è un'accezione in più.

Parliamo adesso del termine 'giardino', che dà anche il titolo a questi miei voli pirandici. E' apparso molto tardi, intorno all'anno 1100, come hortus gardinus, cioè giardino (hortus) recintato, perché il termine gardinus è di orgine basso-francone e deriva da un verbo che significa recintare, salvaguardare (cfr. guardiola, guardia) quindi niente a che vedere con guardare/osservare. Non poi tanto diversamente da paradiso, che deriva dal persiano pairidaeza = luogo recintato, poi giardino, poi paradiso.

E se volete qualche aneddoto, possiamo parlare dei crisantemi. I crisantemi, nome botanico Chrysànthemum, sono considerati fiori dei morti da noi e in Francia, Spagna e Croazia, ma non in Inghilterra, per cui se in un romanzo inglese dovete tradurre che il moroso ha portato un mazzo di crisantemi (fiori molto apprezzati laggiù, ma anche da me) alla morosa, non potete farne una traduzione fedele, ma dovrete propendere per un generico 'mazzo di fiori'. Un'altra riflessione, ma amara, è che il termine 'orticoltura', di sacrosanta origine italiana, è usato correttamente all'estero, mentre da noi si ritiene che significhi coltivazione di ortaggi. La mia associazione si chiama Ass. orticola FVG “Tra Fiori e Piante” ma chissà quanti zucchini italiani penseranno che ci occupiamo di zucchine…

E ancora, perché per gli inglesi il giardinaggio è così importante? mentre da noi… lasciamo perdere. Lo spiega un articolo in The Garden, l'organo dell'RHS, che trovate tradotto in questo sito, dal titolo “Vennero videro e giardinarono”. Quando gli antichi romani arrivarono in Britannia la popolazione era composta da tribù e i romani vi si stabilirono con le loro ville, molto simili alla ville venete, tipo Villa Manin, e alle Usad'by russe (ho letto e presentato in associazione il libro 'Il mondo delle Usad'by'), dove oltre all'abitazione principale c'erano le abitazioni dei contadini e di tutti gli artigiani che contribuivano alla vita dell'intera comunità (non per niente la città in francese si chiama 'ville'), e facevano venire dall'Italia o dalla Francia il topiarius, l'architetto paesaggista diremmo oggi, dal greco topos topoi (luogo), dato che la gente bene nell'antica Roma parlava greco così come i russi facoltosi ai tempi di Tolstoj parlavano in francese. Di qui l'arte topiaria, quella preferita dai miei gatti, anche se loro la praticano di notte (hanno neuroni diversi dai nostri, meraviglie dell'evoluzione). Gl'inglesi hanno avuto un imprinting straordinario, come l'oca Martina di Konrad Lorenz!
E come si legge il latino? Noi italiani siamo privilegiati, perché la pronuncia latina è molto simile a quella italiana, il più delle volte è solo questione di accento tonico, chrysànthemum e non chrysanthèmum, vìola odorata (come dicono alla facoltà di scienze della vita dell'Università di Trieste), e non viòla odorata come diciamo quasi tutti, ma il latino scientifico è fatto per comunicare per iscritto, poi l'esatta pronuncia, quale che sia, è solo un diletto per puristi. Senza contare che agli italiani e solo agli italiani è permessa la pronuncia ecclesiastica, mentre il resto del mondo pronuncia il latino restaurato, come quello che si parlava ai tempi di Cesare. Vibo Valentia docet. Noi diciamo Cesar (Caesar), il resto del mondo Kaesar, da cui Kaiser… e così via. Ma questo ve l'ho raccontato più approfonditamente, e spietatamente penserete voi, nell'articolo “Latin Lover”.


Poiché spesso un genere (genus) è dedicato a qualche persona illustre, con cognome straniero, il problema che qualcheduno si è posto è se la pronuncia debba conformarsi alla lingua dell'Illustre. No, non deve. Facciamo un esempio pratico: Choysia ternata, bell'arbusto profumato, detto anche 'arancio messicano', è dedicata al teologo e botanico Jacques Denys Choisy, per cui, per rispettare la pronuncia francese si dovrebbe dire la Sciuasià. La più parte pronuncia Cioisia (spagnolo o inglese? boh). Ma se vi ricordate, qualche anno fa ci fu un'infezione batterica da Escherichia coli, genere dedicato a un medico tedesco, T. Escherich, morto nel 1911, e tutti abbiamo imparato la giusta pronuncia alla radio e alla TV. Invece, come si pronuncia Eschscholzia in latino non lo sa nessuno di mia conoscenza, e neanche in internet, in italiano è semplicemente 'escolzia'.


Come avrete ben afferrato se avete resistito fin qua, le lingue mi appassionano, ma è l'unico contesto in cui uso l'italiano in primis (Italian first in arabo). Ma non sempre ci riesco. Però non demordo. Esiste un termine inglese (plantsman/plantswoman) che mi definisce bene, e non è giardiniera né paesaggista, mestieri che più o meno bene pratico. Io l'ho tradotto con ‘plantocentrica/o', sull'esempio di eurocentrico. Vediamo se qualcuno lo copierà.

Vorrei parlarvi anche del plantoide, robot-pianta come l'androide è un robot-uomo, e per saperne di più cliccate qui. Il professor Stefano Mancuso, che se non lo conosceste ancora dovreste rimediare su due piedi a questa imperdonabile mancanza, mi ha confermato che è una realtà e non fantascienza.

 

Oppure posso informarvi che il termine cultivar è femminile (la cultivar, cv.) da cultivated variety, varietà ibridata dall'uomo, a differenza di quella che si è ibridata naturalmente, che si identifica proprio con la parola varietà (abbreviata var.).
O dirvi, e vi dico, come mi sono divertita scoprendo il nome scientifico del tasso irlandese (mio beniamino): Taxus baccata 'Hibernica'. Quando i nostri antichi romani, quelli che invasero la Britannia con le loro gonnelline simil-scozzesi, senza essere abituati però al clima, si videro davanti l'Irlanda, la chiamarono Hibernia e decisero che era meglio lasciar stare… non sapevano che invece sarebbe stata una goduria, grazie al clima…che forse non durerà ancora per molto. Se i ghiacciai si scioglieranno, la Corrente del Golfo – che consente alla Cornovaglia inglese e all'Irlanda di avere giardini subtropicali – si raffredderà e farà molto più freddo che in Germania. Ragion per cui diamoci da fare da subito. Il mio motto è “No alberi no party” mentre quello delle piante è “No uomini sì party”.