LE CASTAGNE AMARE CHE ARRIVANO DA LONTANO

di Alessandro Mesini ( Giardini, febbraio 2001)


FRUTTI COPIOSI, MA AMARISSIMI...
Se i frutti dell'ippocastàno fossero dolci e mangerecci come quelli del "più nostrano" castagno la concorrenza sarebbe a dir poco sleale. L'ippocastàno infattii produce frutti in misura copiosa, si adatta a vivere anche ad altitudini inferiori a quelle scelte dal castagno, ha ricci che si aprono con grande facilità e che vanno incontro ad una rapida e totale marcescenza riducendo così al minimo l'intervento di pulizia, cresce rapidamente, e, se si eccettua la problematica sanitaria dell'ultimo anno, non è afflitto da patologie importanti come quelle del cancro corticale e del mal dell'inchiostro. I frutti dell'ippocastàno invece sono amarissimi e il loro impiego nell'alimentazione umana, anche per la presenza di alcuni composti indesiderati, non è mai stato nemmeno tentato.

IL RICCIO IL FRUTTO, LA CASTAGNA IL SEME
Per chiarezza anche se ci riferiremo alla castagna amara come ad un frutto si tratta in realtà di un seme, il frutto è costituito dal riccio nella sua interezza.
Il frutto dell'ippocastàno ricorda quello della castagna dolce perché si tratta pur sempre di un riccio anche se questo ha spine rade di non grande consistenza al momento della cascola quando si presenta ancora verde.

IL RICCIO
Le spine dei ricci caduti acquistano di consistenza e divengono "legnose" se il clima è secco, ma con l'arrivo delle piogge autunnali il riccio si decompone assai velocemente e non lascia quasi tracce l'anno successivo. Il riccio è in realtà una capsula triloculare di forma non perfettamente sferica deiscente a maturazione. Ogni loculo può contenere 1 o 2 semi, ma non sempre tutti i loculi riescono a produrre seme e così il riccio si può presentare anche con sole due valve anziché le tre classicamente previste.


LA CASTAGNA
II seme è una castagna dalla buccia sottile e lucida, in tutti i toni del marrone e del bruno con possibili venature, fortemente adesa alla polpa e difficilmente separabile dalla cuticola. Il seme presenta due grossi cotiledoni non subito distinguibili al momento della sbucciatura e di difficile separazione. La base della castagna è formata da un ampio ilo di colore più chiaro.

UN SEME CON GRANDE ENERGIA
Al momento della sbucciatura del seme vi colpirà sicuramente l'impressione di forza che già allo stato ancora quiescente emana. Molto ben sviluppato è, infatti, il germoglio radicale che si affonderà nel terreno.
I semi, diffusi o seminati in autunno, germinano a primavera e si mantengono vitali per non più di sei mesi.
Per conservare i semi da porre successivamente a dimora basta imitare la natura e quindi ricopriteli con un generoso strato di foglie. Prima di metterli a dimora osservate che non siano diventati di aspetto polveroso, che non si presentino maleodoranti, e, nel dubbio, sezionatene qualcuno per verificare che la polpa non si presenti di colore scuro inequivocabile segno di ammuffimento e alterazione profonda.

 


 

LA STORIA DEL NOME
Importata come pianta da parco l'ippocastàno non poteva però non attrarre per i suoi frutti così piacevoli al tatto e lucidi, a volte ricchi di arabescature quasi fossero rivestiti di un sottile foglio di radica, così ricchi e pieni, così pronti a mettere radici.
Il Mattioli chiarisce l'origine del nome della pianta proprio facendolo risalire ai frutti; scriveva, infatti, "Chiamansi a Costantinopoli castagne cavalline per giovar elle ai cavalli bolsi e che tossiscono date loro a mangiare."
Oggi però non esiste più alcun legame fra le castagne amare e il mondo degli equini.


NELL'INDUSTRIA

Dai semi dell'ippocastàno si può ricavare amido o fecola (un seme fresco ne contiene oltre il 15%), colla, alcool, olio per l'industria cosmetica ed in particolar modo per la fabbricazione di saponi. I ricci possono essere impiegati come materiale tannico.

LE VIRTÙ CURATIVE IN PASSATO...
L'ippocastàno non può vantare in erboristeria un uso antichissimo, data la sua recente introduzione in Europa, e quindi non ricorreremo ai soliti nomi "padri di tutte le cure".
A diffondere l'uso di questa pianta fu Giovanni Girolamo Zanichelli, speziale vissuto a Venezia fra 1600 e 1700, che lo consigliava come rimedio per l'emicrania e le febbri ricorrenti. Campana scriveva che "la scorza d'ippocastàno si è creduta valevole quanto la China per le febbri; pure non è da trascurarsi, e si deve scegliere la scorza dei rami non troppo giovani, né troppo vecchi."
Presto però l'uso dell'ippocastàno cadde nel dimenticatoio e soltanto agli inizi dell'800 l'interesse riprese con la scoperta e l'isolamento dei principi attivi ad azione vasoprotettiva. Il chimico Francesco Canzoneri riusciva a isolare dai frutti una massa informe di color rosa e sapore dolciastro che battezzò col nome di esculina, Antonio Cananeo, nel 1825 dalle pagine del "Giornale di Farmacia e Chimica", scriveva "il tempo e l'esperienza ci facciano apprendere l'utile che da essa si può ricavare".

OGGI IN ERBORISTERIA
L'ippocastàno è una specie vegetale molto impiegata nella fìtoterapia, grazie soprattutto alle proprietà vasotoniche e vasocostrittrici che possiede, in grado di aumentare la resistenza dei capillari e di diminuirne la permeabilità, pertanto attiva la circolazione venosa e favorisce il ritorno venoso, oltre a esplicare attività antiedematosa e antinfìammatoria. Si utilizzano la corteccia dei rami, le foglie e i semi, raccolti maturi in autunno, pelati e fatti essiccare al sole. Dalla corteccia si estraggono due composti derivati dagli zuccheri, l'esculina e la frassina, un tannino e una resina, mentre dai semi si ricava l'escina. Tutta la pianta è ricca di tannini, saponine e glucosidi. Viene utilizzata anche come additivo nei bagni per la sua proprietà di mantenere elastici i vasi sanguigni e di aiutare quanti soffrono di problemi circolatori. Si possono impiegare le foglie ridotte ad un unguento contro le varici, le emorroidi e i geloni. Gli estratti di ippocastàno sono utili, in generale, per contusioni, couperose, crampi, disturbi della irrorazione venosa, edemi ed ematomi, ulcere varicose e venose, vene varicose. E' indispensabile, però, usare l'ippocastàno solo dietro prescrizione medica, e mai consumare la scorza e la corteccia di frutti e semi, perché sono tossici anche per i piccoli animali domestici. Considerato relativamente pericoloso, soprattutto per i bambini, per le persone oltre i 55 anni e per coloro che ne assumono quantità superiori a quelle consigliate per lunghi periodi di tempo. L'ippocastàno, sia bianco sia rosso, è compreso fra i fiori di Bach.

 


L'IPPOCASTANO NELL'ARREDO DI PARCHI E GIARDINI
E' una specie particolarmente adatta al"arredo di giardini spaziosi e grossi parchi dove possano usufruire di ampi spazi di terreno fresco e profondo, mentre le condizioni climatiche delle città non ne consentono più l'inserimento in prossimità delle strade, dei parcheggi e degli insediamenti produttivi.
Per quanto riguarda le distanze di impianto, è bene non mettere le piante a dimora a meno di 7-8 m di distanza una dall'altra, se in gruppo, e di 10-12 m nel caso di filari.

UN VELENO PER L'UOMO
Per l'uomo i frutti dell'ippocastàno si rivelano essere, contrariamente a quanto accade per gli animali domestici, potenzialmente velenosi.
L'ingestione dei frutti porta a vomito e nausea, ma, in caso di alti dosaggi, può comparire una sindrome emorragica di problematica risoluzione.