IL CALENDARIO DEL GIARDINIERE
(da Il Giardino Fiorito, dicembre 2004)

IL DICEMBRE DEL GIARDINIERE
di Karel Capek

 

Avete ragione, ora è proprio finito tutto. Fino a questo momento il giardiniere ha zappato, vangato, scassato, rivoltato, concimato; ha coperto il terreno di torba, cenere e fuliggine; ha piantato, seminato, trapiantato, diviso, messo bulbi in terra e ritirato i tuberi per l'inverno. Ha innaffiato, tagliato i prati e sradicato le erbacce, ha messo il pacciame alle piante ed ha ammucchiato terra fino al loro collo.
Tutto ciò lo ha fatto tra febbraio e dicembre, e soltanto ora che il giardino è sepolto dalla neve si ricorda che ha dimenticato qualcosa: ha dimenticato di guardarlo. Perché dovete sapere che fino ad ora non ne ha avuto il tempo. Quando nell'estate stava correndo a guardare una genziana in fiore doveva fermarsi per via ad estirpare la malerba. Quando voleva godere della bellezza dei delphinium in piena fioritura si accorgeva che avevano bisogno di sostegni e doveva metterglieli in fretta. Quando fiorivano gli aster correva a cercare un annaffiatoio. Quando sbocciavano i phlox stava sradicando la gramigna. Quando le rose erano in boccio aveva da guardare dove erano i succhioni per estirparli, o pensare come poteva fare per distruggere la ruggine. Quando cominciarono ad aprirsi i crisantemi doveva correre a prendere una zappa per allentare la terra che si era indurita intorno alle loro radici.

Che cosa credete? C'è sempre qualcosa da fare: era mai possibile che si mettesse le mani in tasca e stesse a guardare che aspetto aveva il giardino? Ora, grazie a Dio, è finito tutto. Forse qualcosa da fare ci sarebbe ancora: là dietro la terra è dura come un masso e bisognerebbe anche trapiantare quella centaurea. Ma no: la pace sia con te; è già caduta la neve.
Che ne diresti, giardiniere, di dare, per la prima volta; un'occhiata al tuo giardino?
Questa cosa nera che scappa fuori dalla neve è una viscaria appassita.
Questo moncone secco è un'aquilegia celeste; questo ciuffo di foglie accartocciate è un'astilbe; e guarda quella specie di spazzacamino là, è un Aster ericoides; e qui dove non si vede niente, c'è un trollius arancione; e questo mucchietto di neve è un dianthus; e questo è probabilmente uno stelo di achillea.

Che freddo! Neppure nell'inverno ci si può godere il giardino. Allora accendiamo il fuoco nella nostra stanza e lasciamo che il giardino dorma sotto la sua coltre di neve. Sarà meglio pensare ad altro. Il tavolo è pieno di libri che non abbiamo letto: facciamolo ora. Ci sono tanti altri interessi e faccende, e bisogna pure cominciare ad occuparsene, una volta o l'altra. Ma il pacciame, l'avremo proprio steso bene su tutto quanto? La tritonia l'abbiamo protetta? Non avremo dimenticato di coprire la plumbago? Bisognerebbe aver messo delle frasche sulla kalmia; e se l'azalea gela? E se a primavera le zampe dei ranuncoli non germogliassero? In questo caso pianteremo al loro posto... aspetta... aspetta un momento, diamo un'occhiata ai cataloghi.
Così, d'inverno, si trova il giardino soprattutto in un mucchio di cataloghi. Anche il giardiniere sverna sotto vetro in una stanza riscaldata, coperto fino al collo non di concime o di pacciame, ma di cataloghi di piante, di circolari, di libri e di opuscoli, nei quali egli legge:
1°- che le piante più preziose, soddisfacenti, addirittura indispensabili sono quelle che non ha nel suo giardino;
2°- che tutto ciò che ha è "piuttosto delicato" e "soggetto a gelare"; oppure che egli ha messo vicine una pianta "che ha bisogno di umidità", e una che "deve essere protetta dall'umidità", e che quella che ha messo con cura speciale a pieno sole richiede "piena ombra" e viceversa;
3°- che esistono oltre 370 specie di piante le quali "meritano di essere più conosciute" e che "non dovrebbero mancare in nessun giardino" o che per lo meno sono "varietà nuovissime e sorprendenti, infinitamente migliori di quelle che le hanno precedute".

Quando ha imparato tutte queste cose, generalmente in dicembre, il giardiniere diviene molto triste; comincia col temere seriamente che non una delle sue piante verrà su a primavera a causa del gelo o dei funghi, dell'umidità, della siccità, del troppo sole o della mancanza di sole; e si logora quindi il cervello per trovare il modo di riempire quei terribili spazi vuoti.
Secondariamente egli pensa che anche se gli muoiono solamente poche piante egli non disporrà di alcuno di quegli esemplari "preziosissimi, nuovissimi, inarrivabili, a fioritura abbondantissima" dei quali ha letto in sessanta cataloghi. E questa è una lacuna intollerabile che in qualche modo bisogna colmare. Allora il giardiniere che sta svernando cessa di interessarsi nel modo più assoluto di quello che ha in giardino per occuparsi soltanto di quello che non ha, il che naturalmente è molto di più.

Si getta a capofitto nei cataloghi e prende nota di tutto quello che deve ordinare e che, perbacco, non deve più mancare nel suo giardino. Nel primo impulso egli segna 490 perenni che deve ordinare a tutti i costi; dopo averle contate si calma un pochino e con un cuore che sanguina comincia a cancellare quelle alle quali, per quest'anno, rinuncerà. Dovrà ripetere questa dolorosa eliminazione almeno per cinque volte fino a che restano soltanto circa 120 "bellissime, soddisfacentissime, indispensabili" perenni che egli ordina immediatamente. "Mandatele ai primi di marzo". E pensa "Signore, quanto sarebbe bello essere già a marzo". Ma il Signore lo ha reso cieco: in marzo scopre che solo con estrema difficoltà può trovare non più di due o tre posti nel suo giardino dove sia ancora possibile piantare qualcosa, e anche quelli sono vicino alla siepe dietro alle piante di cydonia.

Dopo che ha finito questo importantissimo, e come si è visto, molto affrettato lavoro, il giardiniere comincia ad annoiarsi disperatamente. Poiché "si comincerà in marzo" conta i giorni fino a quel mese, e poiché ve ne sono troppi egli ne toglie quindici dato che qualche volta "si comincia in febbraio". Ma non serve a niente: deve aspettare. Allora il giardiniere si getta su qualche altra cosa, diciamo su un sofà o su un altro piccolo canapè qualunque, cercando di imitare il sonno invernale della natura.
Dopo una mezz'ora balza su dalla posizione orizzontale con una nuova ispirazione.
Vasi, vasi da fiori! Non ci sono dei fiori che crescono nei vasi? Immediatamente si formano davanti ai suoi occhi, in tutta la loro tropicale bellezza, boschetti di palme, di felci, di dracene e di tradescanzie, di asparagus, di clivie e di begonie; e tra queste piante, naturalmente, fioriranno una primula forzata e un giacinto e un ciclamino; creerà nel corridoio una giungla equatoriale, tralci cadenti verranno giù dalla scala, e alle finestre metterà piante che fioriranno senza posa.

Poi dà una rapida occhiata in giro: non vede più la stanza nella quale vive, ma la foresta di paradiso che egli vi creerà; e corre dal vivaista all'angolo per portare a casa una bracciata di tesori vegetali. Quando ha portato tutto quello che poteva reggere si accorge che:
- ora che tutto è riunito insieme non sembra affatto una foresta equatoriale ma piuttosto un piccolo negozio di terraglie;
- non può mettere nulla alle finestre perché - secondo la teoria delle sciocche donne di casa - le finestre sono fatte per dare aria;
- non può mettere nulla sulla scala perché verrebbe sporcata tutta di fango e inondata d'acqua;
- non può trasformare l'ingresso in una foresta tropicale perché nonostante le sue tremende minacce e imprecazioni, le donne persistono nell'aprire le finestre all'aria gelida.
Cosi egli porta il suo tesoro in cantina dove, dice per consolarsi, almeno non gelerà; e in primavera, frugando nel terreno caldo all'aria aperta, egli lo dimentica completamente. Ma nel prossimo dicembre questo esperimento non lo tratterrà affatto dal tentare di trasformare il suo appartamento in un giardino d'inverno. È da cose come questa che si riconosce la vita eterna della natura.